Corriere 26.1.19
Landini: saremo sindacato di strada
Lavoro, vogliamo cambiare il Paese
Il nuovo leader della Cgil: Di Maio e Salvini? Parlano di povertà ma non sanno cos’è
di Enrico Marro
BARI
«Al lavoro e alla lotta». Maurizio Landini conclude il XVIII congresso
della Cgil, che a Bari lo ha incoronato segretario generale, con le
stesse parole con le quali Susanna Camusso ha salutato i delegati da ex
segretaria. Un incitamento accolto da un’ovazione. Altre ce ne sono
state tutte le volte che Landini ha attaccato il governo e soprattutto
il vicepremier Matteo Salvini, sollecitando la base a riempire piazza
del Popolo per la manifestazione del 9 febbraio indetta con Cisl e Uil
contro la manovra.
«Salvini e Di Maio parlano di povertà e lavoro
ma non sono stati mai né poveri né hanno lavorato». Il nuovo leader
della Cgil fa già intravedere una Cgil più combattiva, soprattutto sul
terreno politico. E, a giudicare dall’entusiasmo dei delegati, è ciò che
vuole la base. Landini è stato chiaro: «Chi oggi non è d’accordo con
questo governo rischia di non avere dove esprimere queste posizioni».
Da
ora questo posto c’è ed è la Cgil, spiega. Ecco perché le prime due
cose che il successore di Camusso ha deciso di fare sono: partecipare a
un dibattito all’ Anpi, «per dire che la lotta al fascismo non è
finita», e la visita al Cara di Bari, il centro di accoglienza per i
richiedenti asilo, dove ci sono circa 500 immigrati, per affermare che
la Cgil ha un’idea opposta di società rispetto al ministro degli Interni
e capo della Lega, ci spiega mentre facciamo con lui il viaggio in
macchina dalla fiera del Levante, teatro del congresso, al campo
militare che ospita il Cara, nei pressi dell’aeroporto. «Chiudere questi
centri è sbagliato, prima vengono le persone».
Landini è
consapevole che circa un terzo degli iscritti alla Cgil ha votato per i 5
Stelle e un altro 10% per la Lega, ma il fatto che restino nel
sindacato «rosso» significa che «dobbiamo continuare a rappresentare le
persone nel merito dei problemi».
Di qui l’incitamento rivolto al
congresso della Confederazione, anche questo accolto da un’ovazione, a
dare più spazio e più potere ai delegati, ai giovani e alle donne della
Cgil. In questo senso Landini promette di «cambiare la Cgil» e indica
subito una direzione di marcia: «Il sindacato di strada», sul modello
praticato dalla Flai per rappresentare i lavoratori sfruttati nei campi.
Insomma un modello di proselitismo che vada a cercare i lavoratori da
rappresentare lì dove è più difficile raggiungerli, senza continuare a
campare di rendita sulla base degli iscritti storici (i lavoratori
dipendenti a tempo indeterminato del privato e del pubblico) e dei
pensionati.
L’ex leader della Fiom sa di aver creato molte
aspettative, nella sua Cgil e nella sinistra sociale e politica che in
questa fase sembra priva di una bussola, quella che per lui è chiara:
«Dobbiamo cambiare la società e riaffermare i diritti delle persone,
perché c’è ancora chi sfrutta e chi è sfruttato». Come i migranti che
incontra al Cara, come quelli che ha incontrato di recente nella
baraccopoli di San Ferdinando in Calabria, Regione dove si è fatto
eleggere Salvini: «Ci torni il ministro degli Interni, perché lì c’è lo
schiavismo, invece di perdere tempo a farci vedere che gli piace pane e
Nutella». Eccolo Landini l’anti-Salvini.