Il Fatto 24.1.19
Attacca il reddito chi ignora la Carta
La dignità della persona
di Lorenza Carlassare
Che
i nostri politici si siano sempre attivati poco per attuare la
Costituzione è noto e tuttavia stupisce l’aggressività stizzosa contro
un modesto tentativo di realizzarne una parte essenziale; e tanto più
stupisce il silenzio, se non l’ostilità, di quella che dovrebbe essere
la sinistra. Critiche e dileggio al reddito di cittadinanza, come da
alcuni leghisti: “Fannulloni, seduti sul divano, sud d’Italia”; quasi
che i poveri, tanto più se meridionali, lo siano per colpa loro; forse
per questo la Confindustria teme che il reddito di cittadinanza sia un
disincentivo al lavoro? E c’è chi, come Maria Elena Boschi del Pd e
altri esponenti della sinistra che fu, parla allegramente di “vita in
vacanza”.
Le reazioni sdegnate però confortano: l’umanità non è
del tutto scomparsa. Ci saremmo aspettati, insieme a critiche
costruttive, un sostegno efficace per rendere migliore la legge contro i
tanti nemici di ogni misura sociale: restano invece isolate le voci di
chi ammette almeno che “la finalità è giusta” e “chi è in difficoltà va
aiutato” (Orlando): meno male, sono passati settant’anni dall’entrata in
vigore della Costituzione col suo diritto a vivere dignitosamente!
La
dignità della persona è al centro: i Costituenti volevano costruire una
società umana in cui tutti potessero vivere dignitosamente, concorrere
alle decisioni comuni, essere parte consapevole. Un grande Costituente,
Costantino Mortati, ricordava che eliminare le pesanti fratture
esistenti nel corpo sociale è essenziale per la democrazia. La stessa
“governabilità”, più che da leggi elettorali distorsive della
rappresentanza, è favorita dall’omogeneità sociale: e in vista di questa
fu scritto l’articolo 3 che impone alla Repubblica di rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale che, “limitando di fatto la
libertà e l’eguaglianza dei cittadini”, impediscono il pieno sviluppo
della persona e l’effettiva partecipazione “di tutti” alla vita
politica, economica e sociale.
Miseria, ignoranza, malattia sono
gli ostacoli più gravi. Eppure, dopo settant’anni, i poveri assoluti
sono oltre 5 milioni, l’ignoranza aumenta, l’istruzione è trascurata, la
sanità a rischio. Apprendiamo ora dal Rapporto Oxfam che in Italia il
5% più ricco detiene la stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% più
povero della popolazione.
I tre primi articoli della Costituzione
dettano un programma coerente: la sovranità “appartiene” al popolo, e
non ad altri (articolo 1); i diritti inviolabili stanno insieme ai
“doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”
(articolo 2); oltre all’eguaglianza di fronte alla legge va realizzata
l’eguaglianza sostanziale rimuovendo gli ostacoli di fatto (articolo 3).
È un programma in gran parte ignorato. Ignorata è la solidarietà che
(articolo 38) garantisce al cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di
mezzi per vivere il “diritto al mantenimento e all’assistenza sociale” e
ai lavoratori “mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di
infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione
involontaria”.
Il disoccupato dunque – se non lo è per sua volontà
– avrebbe diritto non a elemosine, ma a mezzi adeguati alle sue
esigenze di vita, famiglia compresa. I resoconti delle sedute della
terza Sottocommissione (10 e 11 settembre 1946) sono illuminanti: “Ogni
essere che (…) si trovi nell’impossibilità di lavorare ha diritto di
ottenere dalla collettività mezzi adeguati di assistenza”, Giuseppe
Togni, Dc; “Lo Stato ha il compito di assicurare a tutti i cittadini il
minimo necessario all’esistenza, in particolare dovrà provvedere
all’esistenza di chi è disoccupato senza sua colpa e incapace di
lavorare per età o invalidità”, Lina Merlin, socialista; l’assistenza
“va data anche a tutte le persone che non godono della previdenza”,
Teresa Noce, comunista.
Ne uscì, alla fine, l’articolo 38, che
fornisce una copertura completa: nel primo comma a chi sia inabile al
lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, nel secondo al
lavoratore involontariamente disoccupato, malato o infortunato o
invalido.
A tutti, insomma, purché abbiano voglia di lavorare e non possano farlo.
Il
principio di solidarietà, posto tra i valori fondanti dell’ordinamento
giuridico insieme ai diritti fondamentali e inviolabili dell’uomo, è
“riconosciuto e garantito dall’articolo 2 come base della convivenza
sociale normativamente prefigurata dal costituente”, dice la Corte
costituzionale (sentenze n. 409 del 1989 e n. 75 del 1992). Il sistema
intero deve dunque conformarsi a quel principio, indissolubilmente
legato alla dignità della persona, un valore costituzionale che
appartiene a tutti senza distinzione alcuna: “A ciascuno è riconosciuto
il diritto a che la sua dignità sia preservata” (sentenza n. 13/1994).
Ma, senza il necessario per vivere (che i Costituenti volevano
assicurare a tutti) possiamo dire che la dignità è preservata?