martedì 22 gennaio 2019

Il Fatto 22.1.19
Il governo del ricatto: il nostro pizzo ai libici non basta mica più…
di Antonio Padellaro


Purtroppo non si può impedire che mentre rischiano di affogare le loro urla disturbino la domenica di ‘prima gli italiani’. Purtroppo siamo nella civiltà dell’immediatezza e il solo modo per non udire, non vedere e non sapere è non udire, non vedere, non sapere. Certo che se poi, terminato il calcio show e le varie domeniche talk incappi in qualche tg significa proprio che te la sei cercata.
Purtroppo la tv del cambiamento non è ancora cambiata come promesso (tempo al tempo) e i soliti resoconti buonisti ci informano, parola per parola, di quanto sta avvenendo al largo di Misurata. “Stiamo congelando, la barca prende acqua, ci sono bimbi a bordo, vi scongiuro aiutateci”, e cose del genere. Be’, essere sovranisti o populisti o identitari non significa avere un cuore di pietra, e non domandarsi se qualcosa si potrebbe pure fare per salvare quei poveretti (certo che se restavano a casa ora saremmo tutti più tranquilli).
Proviamo a informarci. Il vicepremier Matteo Salvini accusa le ong e ripete che i porti italiani sono chiusi per le navi dei disperati (la linea della “pacchia finita” che va alla grandissima: è al 34% dei voti e se non molla ai facili piagnistei si può puntare quota 40%). L’altro vicepremier, Luigi Di Maio, se la prende con la colonizzazione francese dell’Africa impoverita mentre Alessandro Di Battista straccia, in diretta da Fabio Fazio, il franco africano (che per quelli al largo di Misurata è comunque una consolazione).
Il presidente della Camera, Roberto Fico, esprime dolore, rabbia, tristezza e afferma che se una società sana non riesce a salvare vite umane è un terribile fallimento per tutti noi. Verità sacrosanta che sarà opportunamente adoperata nei pastoni politici come spunto in funzione anti-Salvini. Giorgia Meloni ripete che ci vuole il blocco navale davanti alla Libia (però più del 4% nei sondaggi non schioda). Quanto al Pd, sono troppo impegnati a scannarsi nelle primarie per dedicarsi ad altre vittime. Tutti comunque imprecano contro l’Europa ipocrita e assente (mantra che comunque si porta bene con tutto).
E Giuseppe Conte? Annuncia che al termine del mandato da premier si dedicherà al diritto penale per assicurare i trafficanti alla giustizia. I trafficanti ne saranno sicuramente intimoriti. Poi si decide finalmente a chiamare Tripoli e un cargo della Sierra Leone riporta in Libia i cento migranti, sul punto di raggiungere in fondo al mare i 170 del giorno prima. È il primo atto concreto per impedire un’altra strage e infatti Salvini proclama che “la collaborazione con la Libia funziona”. Sì, ma a esclusivo vantaggio dei libici. Descritti come un’accozzaglia di bande armate divise su tutto. Ma indubbiamente unite e compatte nella pratica dell’estorsione ai danni dell’Italia.
Sul Fatto di lunedì, Antonio Massari ha descritto con precisione la lubrificata macchina del ricatto. Pagata da noi. Sei motovedette, una sala operativa, il controllo dei soccorsi in mare. Più una missione del nostro esercito. Più dieci funzionari dei Servizi (Aise) in pianta stabile. Più, naturalmente, un mucchio di soldi versati sottobanco dalla nostra intelligence alle fazioni libiche per fermare le partenze.
Paghiamo il pizzo profumatamente ma adesso, da Tripoli a Misurata a Bengasi, si pretende di più, molto di più. Il segnale è giunto forte e chiaro. Aumento delle partenze dalle coste africane. Blackout telefonico nelle drammatiche ore del naufragio dei barconi. Finché Palazzo Chigi è costretto a chiedere, per favore, alla Guardia costiera libica – che esiste solo grazie ai mezzi forniti dal governo italiano – di mettere in sicurezza i migranti alla deriva. Concesso.
Infine, una domanda facile facile: secondo voi i crudeli “trafficanti di esseri umani” partecipano oppure no alla distribuzione della ricca torta? Altro che complotto delle organizzazioni non governative. Va bene tutto, ma basta prenderci in giro. Prima gli italiani? No, prima i libici.