martedì 22 gennaio 2019

Il Fatto 22.1.19
Cucchi, ancora depistaggi. “Ci vuole spirito di corpo”
Nuove intercettazioni - Un sottufficiale soltanto tre mesi fa disse al testimone: “È venuto il colonnello, aiutiamo i colleghi in difficoltà”
Cucchi, ancora depistaggi. “Ci vuole spirito di corpo”
di Valeria Pacelli


Non solo nel 2009 e durante le indagini. La Procura di Roma sospetta che ci sia stato un tentativo di depistaggio sulla morte di Stefano Cucchi anche di recente, poco più di tre mesi fa, con il processo in corso in primo grado a cinque carabinieri, di cui tre accusati del pestaggio. Il sospetto nasce dall’intercettazione del 6 novembre 2018 di una telefonata tra il vicebrigadiere della stazione Vomero-Arenella di Napoli, Mario Iorio e il maresciallo Ciro Grimaldi, anche lui ora in Campania ma nell’ottobre del 2009 a Tor Sapienza (Roma). Esattamente un mese dopo, il 6 dicembre, Grimaldi sarà sentito in aula come testimone nel processo Cucchi bis.
Il 6 novembre 2018 quindi, Grimaldi – come annota la Squadra mobile – chiama Iorio il quale, dopo aver parlato di una denuncia, dice che sta arrivando il comandante del gruppo, ossia “il tenente colonnello Vincenzo Pascale”, del tutto estraneo alle indagini. I due si risentono poche ore dopo e Iorio riferisce, continua l’informativa, “quanto detto da Pascale nel corso della visita”.
Dice Iorio a Grimaldi: “Ha detto: ‘Mi raccomando, dite al maresciallo che ha fatto servizio alla stazione… lì dove è successo il fatto di Cucchi… di stare calmo, tranquillo’… Me stanno abbuffando ‘e pall, loro e ’o fatt’ ’e Cucchi. (…) Ha detto: ‘Mi raccomando, dovete avere lo spirito di corpo, se c’è qualche collega in difficoltà lo dobbiamo aiutare’”.
Un mese dopo Grimaldi si presenta nell’aula, che diventa un ring per lui e il pm Giovanni Musarò. Il maresciallo racconta che la sera dell’arresto di Cucchi era di turno. Il pm a un certo punto però chiede: “Ricorda se, quando la notizia è diventata pubblica, Colicchio (un altro carabiniere, ndr ) ha avuto modo di commentare con lei?”.
Grimaldi ricorda: “(Colicchio, ndr) notò che la cinta dei pantaloni (di Cucchi, ndr) era rotta (…) Mi disse: ‘Sono stati o gli amici tua o gli amici mia’”. Il pm non sembra convinto: in passato Grimaldi ha raccontato infatti che Colicchio gli disse che Cucchi aveva riferito: “Me l’hanno rotta gli amici tuoi”.
“Dopo l’istruttoria ho avuto modo di pensare”, spiega in aula Grimaldi. E Musarò affonda: “C’è qualcuno che l’ha aiutata a pensare? Ha cambiato versione?”. Il maresciallo nega. Ma quel giorno, in aula, Musarò nelle sue domande sembra far riferimento, senza rivelarlo, alla telefonata tra Grimaldi e Iorio. La prende alla lontana: “Chi è il comandante del Gruppo dove è in servizio?”, chiede. “È cambiato da poco, non mi ricordo – dice il maresciallo – Ah, è il colonnello Pascale”. Lo stesso – secondo l’intercettazione della Squadra mobile – dal quale sarebbe partito un mese prima il consiglio di “stare tranquillo” e “aiutare i colleghi”.
Da lì il pm chiede di ricostruire la scala gerarchica, fino al suo attuale comandante interregionale: “È il generale Tomasone”, dice Grimaldi in aula. Estraneo alle indagini, Tomasone era il comandante provinciale di Roma che nell’ottobre 2009 convocò una riunione sul caso Cucchi in cui non emerse nulla di quanto oggi è al centro del processo ai carabinieri.
Il maresciallo: “Mandolini mi dettò la nota”
La conversazione tra Iorio e Grimaldi fa dunque parte di una serie di atti nuovi depositati nel processo. C’è anche il verbale del maresciallo Davide Speranza, nel 2009 in servizio alla stazione Quadraro di Roma. Il militare ha tirato in ballo due degli imputati: Roberto Mandolini, accusato di calunnia e falso, e Vincenzo Nicolardi, a processo solo per calunnia. Parlando di una nota di servizio del 16 ottobre 2009, Speranza dice: “Mandolini mi disse che non andava bene e che avrei dovuto cestinarla perché avremmo dovuto redigerne una seconda in sostituzione della prima. (…) Il contenuto fu dettato da Mandolini”. Parlando delle due versioni, Speranza ricorda che nella prima si affermava che “Cucchi era in stato di escandescenza”, mentre nella seconda è scritto: “È doveroso rappresentare che, durante l’accompagnamento, non lamentava nessun malore né faceva alcuna rimostranza”. Il maresciallo viene sentito anche su un ordine di servizio in cui compare la scritta “bravi” nello spazio dedicato alle note dei superiori. “Non so dirvi per quale ragione è scritto ‘Bravi’ – ha spiegato –, considerato che avevamo fatto una mera azione di routine”.
“Magari morisse” la telefonata nascosta
Ma c’è anche un’altra novità che emerge dai nuovi atti depositati. Riguarda gli accertamenti sulle comunicazioni telefoniche “intercorse sull’utenza del 112” la sera dell’arresto di Cucchi. Alcune di queste telefonate non sono state individuate durante le indagini del 2009. Nella nota del reparto operativo dei carabinieri, come scrive la Squadra mobile, non è stata riportata per esempio neanche la telefonata tra Nicolardi e il capo turno della sala operativa, quella in cui l’attuale imputato ad un certo punto dice: “Magari morisse, li mortacci sua”.
Casamassima: interrogate la ministra Trenta
Intanto l’appuntato Riccardo Casamassima, la cui testimonianza ha riaperto le indagini su Cucchi, ha presentato una denuncia per chiedere ai magistrati di chiarire se il comandante generale dell’Arma, Giovanni Nistri, lo avesse diffamato durante un incontro riservato con Ilaria Cucchi e il ministro della Difesa Elisabetta Trenta. La sorella di Stefano parlò di uno “sproloquio contro gli unici tre pubblici ufficiali che hanno deciso di rompere il muro di omertà”. Circostanza negata da Nistri. Il legale di Casamassima, l’avvocato Serena Gasperini, ha chiesto di ascoltare anche il ministro Trenta.