martedì 22 gennaio 2019

Il Fatto 22.1.19
Il colonialismo monetario di Parigi
L’origine - Nei Sessanta il franco Cfa fu lo strumento per tenere legati all’Occidente i nuovi Stati
di Mario Giro


La polemica antifrancese di Di Maio e Di Battista è una vecchia storia. Il dibattito sul neocolonialismo alla parigina parte negli anni Sessanta. Dc e Pci furono sempre ostili. Le sinistre europee ne fecero una loro battaglia così come i liberisti anglosassoni contrari al monopolio del mercato protetto franco-africano. Nella sinistra francese la questione fu molto lacerante, tra chi teneva alla grandeur e chi contestava. Gli ultimi a usare il tema sono state le estreme (sinistre e destre) occidentali: per ragioni opposte sovranisti e no-global non vedono di buon occhio la vecchia “françafrique”.
In Africa francofona la moneta comune, il franco CFA (acronimo da Colonie Francesi d’Africa a Comunità Finanziaria Africana), comprende 14 Paesi, in due zone. Fu istituito dopo la decolonizzazione degli anni Sessanta. Nella Guerra fredda gli Usa non potevano permettere libertà di scelta ai nuovi Stati africani. Così alla Francia fu affidata la “sua” parte di continente da tenere legata all’Occidente. Il Franco Cfa era uno strumento di tale politica, ma ci fu bisogno anche di invio di truppe, colpi di Stato e intrighi vari. Provarono a ribellarsi in molti. Il più noto è Thomas Sankara del Burkina Faso. Ma aveva iniziato il guineano Sekou Touré che nel 1958 si schierò con Mosca. I regimi burkinabé e guineano finirono in dittature. Ci furono anche polemiche economiche: senza una propria moneta – alcuni obiettavano – non si poteva svalutare, favorendo così le importazioni da Paesi senza Cfa, come la Nigeria o il Ghana.
La massa monetaria del Cfa è controllata da Parigi ed è costata e costa molto ai francesi. Ogni volta che c’è deficit, il bilancio nazionale francese copre le spese pazze dei “suoi” leader africani. Con l’euro le cose sono più controllate.
Chi ci ha guadagnato davvero con il franco Cfa è stata la parte del settore privato francese che investe in Africa (ha potuto eliminare i concorrenti europei). Fino al ’94 non fu possibile nessun aggiustamento, proprio per la contrarietà delle leadership africane che si erano costruite una fortuna sul franco ma che difendevano anche il monopolio sulle materie prime conquistato con una moneta stabile legata al franco francese. Dopo la morte del più influente tra loro, l’ivoriano Houphouet-Boigny, Parigi impose la svalutazione del 50%, l’unica finora. Fu un compromesso tra ministeri, Esteri (sostenitori della vecchia politica) e Finanze (stufi di pagare). Da Mitterrand a Chirac le cose non sono cambiate ma la volontà francese di difendere la propria “zona” a suon di milioni di euro è diminuita. Gli scandali (valigette di Cfa che facevano la spola tra Africa e Parigi per finanziare campagne elettorali o i diamanti di Giscard…) e la conoscenza che i leader africani avevano maturato degli intrighi politici francesi, alla fine hanno messo in luce un effetto boomerang: era l’Africa a influire sui processi politici parigini e non più il contrario.
La maggioranza della pubblica opinione francese non ha mai amato la Françafrique, men che meno le Ong o le chiese. L’ha solo sopportata fino a che le leadership della Quinta repubblica hanno avuto la forza di imporla. Con Sarkozy, Hollande e Macron le cose sono cambiate: con la fine della Guerra fredda e la globalizzazione, l’interesse francese è scemato. Restano in piedi solo reliquie dell’interesse privato franco-africano, alcune morenti altre ancora forti ma pronte a disinvestire all’occorrenza.