Corriere 22.1.19
L’intercettazione di un carabiniere: aiutiamo i colleghi
Cucchi e i depistaggi a processo in corso:
«Serve spirito di corpo»
di Giovanni Bianconi
ROMA
Le pressioni e i depistaggi nell’inchiesta e nel processo-bis sulla
morte di Stefano Cucchi sembrano non finire mai. Continuano anche a
dibattimento in corso, dopo gli inquinamenti già svelati e le
testimonianze che hanno aggravato le posizioni dei carabinieri imputati
per omicidio preterintenzionale e falso, nonché coinvolto nuovi militari
dell’Arma ora indagati per favoreggiamento e altri reati. Ieri il
pubblico ministero Giovanni Musarò ha scoperto alcune carte che rivelano
nuovi tentativi di sviare il lavoro di inquirenti e giudici:
intercettazioni e verbali che risalgono a neanche tre mesi fa, ma pure a
novembre 2015 e a ottobre del 2009, a ridosso dei fatti. Come anelli di
una catena di protezioni che da quasi 10 anni non si riesce a spezzare.
Il
22 ottobre 2018 Musarò interroga il maresciallo Ciro Grimaldi, nel 2009
in servizio alla Stazione di Roma-Tor Sapienza, dove Cucchi transitò la
notte dell’arresto. Al pm riferisce una confidenza del collega
Colicchio: la cinta dei pantaloni, gli aveva detto il detenuto, «me
l’hanno rotta gli amici tuoi». Un ulteriore indizio del pestaggio subito
dai carabinieri, per l’accusa.
Chiamato a deporre in aula il 6
dicembre scorso, i ricordi di Grimaldi sono improvvisamente confusi:
«Disse che gliel’avevano rotta o gli amici tuoi o gli amici miei». Il pm
gli contesta le precedenti dichiarazioni, lo incalza per sapere se
qualcuno l’abbia aiutato nei suoi ripensamenti, e a quel punto il
carabiniere fa marcia indietro: «Confermo quanto detto in istruttoria».
Ma
un mese prima, il 6 novembre, gli investigatori della Squadra mobile di
Roma avevano intercettato una telefonata in cui il vicebrigadiere Mario
Iorio, in servizio alla stazione di Napoli dove oggi lavora Grimaldi,
aveva riferito al testimone che il comandante del gruppo era andato a
trovarlo e gli aveva lasciato un messaggio: «Ha detto “Mi raccomando,
dite al maresciallo che ha fatto servizio alla stazione dove è successo
il fatto di Cucchi, di stare calmo, tranquillo”... Ha detto “dovete
avere lo spirito di corpo, se c’è qualche collega in difficoltà noi lo
dobbiamo aiutare”». Difficile non collegare questa telefonata al
tentativo di Grimaldi di aggiustare la prima deposizione.
Il nome sbianchettato
Nel 2015 non fu acquisito il registro
manomesso del fotosegnalamento
Quando
nel 2015 avviò la nuova indagine sulla morte di Cucchi, la Procura di
Roma chiese ai carabinieri del Nucleo investigativo di acquisire tutti i
documenti nelle diverse caserme in cui transitò l’arrestato. Il
capitano Tiziano Testarmata si recò alla stazione Casilina dove c’era il
registro delle operazioni di fotosegnalamento, luogo del pestaggio
confessato dal carabiniere Francesco Tedesco. L’allora comandante di
compagnia, il maggiore Pantaleone Grimaldi (omonimo dell’altro
testimone) ha ora raccontato al pm di essersi accorto allora, insieme a
Testarmata, che il registro era stato sbianchettato per cancellare il
nome di Cucchi e scriverci sopra quello dell’arrestato successivo:
«Invitai il capitano a portare con sé il registro in originale, perché
era palese che dovesse essere analizzato con maggiore attenzione... La
cancellazione del nominativo, oltre ad essere irrituale, era fortemente
sospetta... Non poteva essere casuale che l’anomalia riguardava proprio
il giorno che interessava a loro».
Ma Testarmata, riferisce
Grimaldi, si allontanò per fare una telefonata e tornò dicendo che «la
direttiva restava quella di fare una copia conforme, senza prendere
l’originale». Più o meno la stessa scena riferita dal luogotenente
Colombo quando dichiarò che lo stesso capitano (ora indagato per
favoreggiamento) non prese la copia della e-mail che certificava la
manipolazione di due annotazioni di servizio. E la versione di Grimaldi è
confermata dal Capitano Carmelo Beringhelli: «Sembrava chiaro che
poteva essere la prova di quello che stavano cercando... Il sospetto era
fortissimo... A me sembrò assurdo che non avessero sequestrato
l’originale, e rappresentai le mie perplessità al capitano Testarmata,
il quale non mi rispose». Solo dopo aver visto le fotocopie il pm Musarò
ordinò di acquisire il registro sbianchettato, divenuto una delle prove
principali nel processo contro i carabinieri.
Il maresciallo
Davide Speranza, già in servizio alla Stazione Appia, ha spiegato che
nel 2009 gli fu chiesta una relazione relativa al trasporto di Cucchi
dopo l’arresto, ma il maresciallo Roberto Mandolini (imputato di falso e
calunnia) «disse che non andava bene e avrei dovuto cestinarla». Dopo i
due già svelati nel dibattimento, siamo al terzo rapporto manipolato:
«La seconda annotazione fu redatta lo stesso giorno, il contenuto fu
dettato da Mandolini e lo scrissi io, alla presenza anche di Nicolardi
(altro carabiniere imputato, ndr). Quindi stampammo e firmammo».
Nella
nuova versione compare la frase: «È doveroso rappresentare che, durante
l’accompagnamento il prevenuto (cioè Cucchi, ndr) non lamentava nessun
malore né faceva alcuna rimostranza in merito». Nell’ordine di servizio è
scritto anche che nella traduzione del detenuto non si era riscontrato
«nulla di anormale» e sotto, nello spazio riservato alle annotazioni dei
superiori compare un commento scritto a mano da Mandolini: «Bravi!».