martedì 22 gennaio 2019

Il Fatto 22.1.19
Tutti gli impegni con la Libia non rispettati da Italia e Ue
“Ciao” - Il presidio alla frontiera col Niger, i gommoni necessari al nord, gli hotspot per gestire gli arrivi: la “lista della spesa” europea è rimasta sulla carta e ora ricominciano le partenze
L’anno è cominciato tragicamente: 200 morti solo nei 20 giorni di gennaio 

di di Antonio Massari

Il presidio a Ghat, nel Fezzan, a sud della Libia, di fronte al Niger, per presidiare il punto più caldo del traffico di migranti? Il governo italiano, nel giugno scorso, l’ha inaugurato soltanto sui media: non esiste ancora. E i 20 gommoni per presidiare le coste e bloccare le partenze? Mai arrivati. E gli hotspot annunciati dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, al rientro del suo viaggio a Tripoli nel giugno scorso, da allestire “ai confini a sud della Libia e alle frontiere esterne, per bloccare l’immigrazione? Anche di quelli, nemmeno l’ombra. La Libia ha accettato di fare da “tappo”. Invece di far partire i migranti ce li conserva nei suoi lager. Ma non intende violare i diritti umani senza una contropartita. Non solo. Aspira a non doverlo fare più: l’Italia e l’Ue si sono impegnate ad aiutarla nel bloccare, o quantomeno a dirottare i flussi migratori verso Tripoli. Ma non hanno mantenuto gli impegni.
C’è un’intera “lista della spesa” – per il “dossier libico” sono stati finanziati in parte anche dall’Italia, ben 160 milioni di euro – che è rimasta solo sulla carta. È il principale motivo per cui, nelle prime tre settimane di gennaio, le partenze sono raddoppiate rispetto allo scorso anno. Il Fatto è in grado di rivelare la “lista della spesa” e le trattative intercorse per chiuderla. Partiamo da Sud.
Il fronte più caldo – dal quale entrano più migranti – è il confine con il Niger. In realtà, non esiste una vera linea di confine: sono proprio le strade “carovaniere” a delinearlo. Ed è facilissimo per i trafficanti attraversarlo. Se Italia e Ue pretendono meno sbarchi – sostengono i libici – devono aiutarci a evitare gli ingressi da sud. Senza più prese in giro.
Durante gli incontri dell’estate scorsa, con i rappresentanti di Viminale, Esteri e della nostra intelligence , i capi tribù hanno intavolato le trattative esordendo con questa battuta sarcastica: “Siamo capaci anche noi di farli entrare da Sud e farli uscire da Nord”. Un modo per ricordare all’Italia che anche da noi, almeno fino a qualche tempo prima, molti migranti entravano, sì, ma per poi dileguarsi nel resto d’Europa. Le tribù del Fezzan, in quel primo incontro, tra febbraio e marzo 2018, per fermare il flusso di migranti hanno chiesto innanzitutto armi. “Niente da fare”, ha risposto l’Italia. Sul resto abbiamo stretto gli accordi. Ovvero: una rete radar per sorvegliare il confine con il Niger, la costruzione di presidi fissi – caserme e vari luoghi di controllo –, mezzi tropicalizzati – Range Rover o altri in grado di muoversi in quei territori –, moto Enduro, addestramento per le guardie di confine e divise. Di tutto questo, nel Fezzan, non è arrivato nulla. È ovvio che incide la pericolosità del luogo che, finora, non ha reso facile la realizzazione dei progetti. “Le caserme e i posti di controllo – hanno chiesto gli italiani ai capi tribù – volete che li costruiamo noi? O preferite che vi diamo soldi e fate da soli? In questo caso, però, vogliamo sapere i soldi a chi vanno”. I libici hanno scelto la prima ipotesi. Il governo ha attivato le agenzie Invitalia e Sviluppo Italia per affidare a qualche imprenditore i progetti. Le spese per mettere in sicurezza i cantieri hanno reso finora impossibile l’operazione.
E ancora. L’Italia si era impegnata – già con il ministro Marco Minniti – ad allestire dei campi profughi all’interno della Libia, dove avrebbero potuto operare anche Unhcr e Oim, per consentire trattamenti umanitari migliori che non pesassero sulle casse libiche. Impegno disatteso.
Passiamo al nord e, quindi, al controllo delle coste.
I libici, per continuare a gestire il fallimentare coordinamento dei soccorsi – adesso sono titolari di un’area Sar – hanno fatto da tempo richieste precise: una sala operativa regionale, 20 “super gommoni” tra i 10 e i 14 metri di lunghezza – costo: 350/400 mila euro l’uno – e un’officina per la manutenzione con annesso scalo di alaggio. Al momento gli sono rimaste le 6 motovedette fornite dalla Guardia di Finanza e una sala operativa con tre computer e un paio di telefoni. Che peraltro squillano spesso a vuoto. Delle altre 12 motovedette promesse ne sono giunte 2.
Il cambio d’ambasciatore a Tripoli – per i tempi necessari al passaggio di consegne tra Giuseppe Perrone e Giuseppe Buccini – non è stato d’aiuto. Così come la conferenza di Palermo, indetta dal premier Giuseppe Conte, che buona parte delle fazioni libiche non ha trovato soddisfacente. E anche i trafficanti che, trattando in passato con la nostra intelligence, sono riusciti a guadagnare un bel po’ di soldi, vogliono tornare all’incasso. Se prendi degli impegni e non li mantieni, sul fronte libico, prima o poi ti esponi al ricatto.