Il Fatto 21.1.19
Nuto, il partigiano scrittore sempre dalla parte dei vinti
Al
via le iniziative per i cento anni dalla nascita di Revelli:
sopravvissuto al disastro italiano sul Don nel 1943, si unì alla
Resistenza e poi raccontò nei libri le vittime della guerra e gli
esclusi dallo sviluppo
di Massimo Novelli
“Ho
sempre lavorato solo sulla memoria, prima sulla mia, poi ho dato la
parola agli altri, a quelli che non avevano gli strumenti per dire e
raccontarsi.” Così Nuto Revelli, nel luglio del 1999, dalla quiete di un
albergo di Verduno, nelle Langhe, in occasione del suo ottantesimo
compleanno riassumeva il senso della sua esistenza.
Lui amava
rammentare di avere avuto dieci vite. Era sopravvissuto alle steppe
della Russia, alla guerra dei poveri soldati italiani mandati a morire
da Mussolini con le scarpe di cartone nella neve; una guerra a cui aveva
preso parte da ufficiale della divisione Tridentina. Con il ricordo
degli alpini caduti sul Don, spesso uccisi dagli stessi alleati
tedeschi, e con il desiderio bruciante di vendicarli, non aveva esitato
nel settembre del 1943 a salire sulle montagne della sua Cuneo, per
combattere i nazifascisti, con le prime bande partigiane.
Dopo la
Liberazione, l’ex ufficiale delle penne nere in Russia, il comandante
partigiano di Giustizia e Libertà, aveva continuato la Resistenza e
l’affermazione dei suoi valori raccogliendo le testimonianze e i
racconti degli umiliati e degli offesi, dei senza storia, degli uomini e
delle donne delle valli cuneesi scarnificate dalla guerra, dalla fame,
dall’emigrazione, dal boom economico che spopolò le montagne e le
colline. Erano i vinti, insomma, della guerra e del dopoguerra. Quei
vinti che hanno popolato tutti i suoi libri, pubblicati da Einaudi: da
La guerra dei poveri a Mai tardi, L’ultimo fronte, Il mondo dei vinti,
L’anello forte, Il prete giusto.
Nuto Revelli è morto a Cuneo il 5
febbraio del 2004. E a Cuneo era nato il 21 luglio del 1919, cento anni
fa. Le iniziative per il centenario, che saranno promosse attraverso il
comitato presieduto dal professore Gastone Cottino e la Fondazione Nuto
Revelli di Cuneo, non si limitano però soltanto a ricordare Nuto. Si
collegano invece a due suoi grandi amici: Primo Levi, del quale a sua
volta ricorre il centenario della nascita (il 31 luglio del 1919) e
Mario Rigoni Stern (nato nel 1921 e scomparso nel 2008).
È un
legame stretto “quello dei tre amici – spiegano il sociologo Marco
Revelli, figlio di Nuto, e la saggista Antonella Tarpino, curatrice di
una raccolta di inediti revelliani (Il popolo che manca) – che è
cementato dal comune odio per il fascismo, dal bisogno di raccontare per
una sorta di dovere morale verso chi non ritornò dall’orrore dei lager
nazisti e dalla guerra, e dall’amore per la montagna”.
In una
poesia dedicata proprio a Mario e a Nuto, Primo Levi descrive
splendidamente il loro legame indistruttibile, l’amicizia nata tra chi
non si fece pietrificare dalla Medusa del nazifascsmo, della guerra
fascista, dei campi di sterminio: “Ho due fratelli con molta vita alle
spalle / nati all’ombra delle montagne. / Hanno imparato l’indignazione /
nella neve di un Paese lontano, / e hanno scritto libri non inutili. /
Come me hanno tollerato, la vista / di Medusa, che non li ha impietriti.
/ Non si sono lasciati impietrire / dalla lenta nevicata dei giorni”.
Le
manifestazioni in memoria di Nuto e dei “tre amici – dice Marco Revelli
– avranno come epicentro Cuneo, la città da cui mio padre non si
allontanò mai, con estensioni a Torino, la città di Levi, e Asiago, la
città di Rigoni Stern”. Per quest’anno, ma anche fino al 2021, anno del
centenario della nascita di Mario Rigoni Stern, sono in programma
mostre, dibattiti, ristampe dei libri di Nuto con nuove introduzioni,
probabilmente un album di testi e di immagini sui “tre amici”, e
convegni.
Uno di questi ultimi, a Cuneo, avrà al centro, prosegue
il figlio di Nuto, “ciò che innervò le esistenze di mio padre, di Primo
Levi e di Mario Rigoni Stern, i tre che non si fecero pietrificare dalla
Gorgone: dunque la guerra fascista e il riscatto con la guerra di
Liberazione, il dovere di raccontare, e la montagna, a cominciare da
quella del Mondo dei vinti e delle donne dell’Anello forte, le vittime
delle guerre, la prima e la seconda, e del dopoguerra: i vinti
sacrificati al dio sviluppo”.
Per loro, dopo la fine della guerra,
Nuto Revelli aveva cominciato a scrivere. “All’inizio – disse in
un’intervista – sentii il bisogno di gridare la mia verità sulla guerra,
sulla Russia, perché pochissimi conoscevano gli elementi di quella
storia. Dopo ho voluto parlare degli altri, dei soldati italiani che
erano stati prigionieri in Russia, dell’esodo immenso dalle zone povere
delle montagne, in quegli anni di industrializzazione caotica, di
contadini che conobbero le buste paga dell’industria”.
Rimuovere
la memoria, ripeteva Nuto, “vuol dire cadere nell’ignoranza totale.
Capisco che i giovani d’oggi, per loro fortuna, non possono contare
sulle esperienze che abbiamo avuto noi. Ma se si vuol capire, gli
strumenti ci sono. Altrimenti, questi ragazzi ripartiranno da zero:
ripetendo esperienze che noi abbiamo già vissuto”.
Nel 1999, per i
suoi ottant’anni, l’Università di Torino gli conferì la laurea honoris
causa. Nel discorso che pronunciò, Revelli volle ritornare ancora sul
binomio indissolubile memoria-libertà.
Parlando delle storie
raccolte e narrate nel Mondo dei vinti e nell’Anello forte, affermò di
avere voluto “dare voce a chi era costretto, ancora una volta, a subire
le scelte sbagliate degli ‘altri’. Volevo che i giovani sapessero,
capissero, aprissero gli occhi. Guai se i giovani di oggi dovessero
crescere nell’ignoranza, come eravamo cresciuti noi della ‘generazione
del littorio’. Oggi la libertà li aiuta, li protegge. La libertà è un
bene immenso, senza libertà non si vive, si vegeta”.