Corriere 21.1.19
Shoah Il pamphlet di Cynthia Ozick (La nave di Teseo) sottovaluta la forza enorme che emana dal «Diario»
Nessuna tregua per Anne Frank
La vana aggressione negazionista
Polemiche La scrittrice americana contesta una lettura edulcorata e retorica
Ossessioni Non a caso il «Diario» è un bersaglio fisso del furore antisemita
di Pierluigi Battista
Cynthia
Ozick sostiene che il grande impatto simbolico del Diario di Anne Frank
sia da sempre il frutto di una lettura edulcorata, distorta e persino
mistificante di quello straordinario testo così sconvolgente, eppure
miseramente ridotto a lettura edificante e consolatoria: una tragedia,
ha scritto nel suo pamphlet Di chi è Anne Frank? proposto dalla Nave di
Teseo per il pubblico italiano a oltre vent’anni dalla sua pubblicazione
sul «New Yorker», che è stata declassata a commedia.
Una frase,
proditoriamente estrapolata dal contesto del diario ritrovato ad
Amsterdam nell’estate del 1944 da Miep Gies nel nascondiglio dei Frank
braccati dai nazisti, è servita secondo Ozick come chiave della grande
mistificazione: «Nonostante tutto, credo tuttavia nell’intima bontà
dell’uomo». Una breve frase su cui si sono accumulate nel tempo le
letture sdolcinate che si susseguono da decenni sull’«idealismo di
Anne», sulla «testimonianza dell’indistruttibile nobiltà dell’animo
umano», «eterna fonte di coraggio e ispirazione», «un inno alla vita»,
«una commovente meraviglia dell’infinito spirito umano». Un ribaltamento
di significati che ancora oggi, secondo la Ozick, ignora ed elude
l’atroce fine di Anne, catturata dagli aguzzini di Hitler e morta di
tifo in condizioni disumane. Sorvolando su questa fine, facendo così di
quel diario una lacrimevole favola per bambini, la storia di Anne Frank,
conclude la Ozick, «è stata censurata, tramutata, tradotta, ridotta: è
stata resa infantile, americana, uniforme, sentimentale; è stata
falsificata, volgarizzata e, di fatto, spudoratamente e arrogantemente
negata».
La requisitoria di Cynthia Ozick contro chi (a
cominciare, purtroppo, dal padre Otto) avrebbe reso morbida e dolce la
storia tragica di Anne Frank è puntuale, appassionata, ricca di dati di
fatto, secondo la migliore tradizione della saggistica polemica che non
disdegna le forme dell’invettiva elegante, della denuncia documentata,
della demolizione dei luoghi comuni e delle interpretazioni di comodo.
Eppure
in questa poderosa polemica sembra sfuggire il valore fortissimo che
ancora oggi, proprio nei giorni in cui si celebra la memoria della
Shoah, emana dalle pagine vergate in condizioni impossibili da una
ragazzina ebrea ricercata da chi la voleva mandare al massacro insieme a
tutta la famiglia. E infatti attorno al Diario si sono formate ostilità
paurose, ossessioni, riti e liturgie profanatrici per indebolire la
forza di quel messaggio.
Basti dire che la stagione negazionista,
il frastuono neonazista camuffato da polemica storiografica che vuole
disintegrare la «menzogna di Auschwitz» ha mosso proprio dalle pagine di
Anne Frank suoi primi passi, proprio con il tentativo disperato di
minare la credibilità dei superstiti della Shoah. Se, come sostenevano i
negazionisti, il testo del diario è stato corretto e manipolato dal
padre Otto (che aveva censurato le parti del diario dove sua figlia Anne
attaccava la madre e quelle con più espliciti riferimenti ai turbamenti
sessuali di una ragazza avviata verso l’adolescenza), allora vuol dire
che un pilastro del racconto sull’Olocausto viene spazzato via. Perché
fu proprio la trasposizione prima teatrale poi cinematografica (pur con
tutte le interpolazioni arbitrarie dettagliatamente ricostruite in
questo pamphlet) a segnare una svolta nella sensibilità contemporanea
sui temi della Shoah.
La storia di quella famiglia nascosta, la
vita quotidiana di una ragazzina perseguitata, la concreta, plastica
rappresentazione di una vita ingiustamente stroncata, con tutte le
palpitazioni, i turbamenti, le debolezze, le speranze e la disperazione
di una giovane donna angariata e condannata a un destino spietato, è
stata proprio questa storia ad aver cambiato l’atteggiamento nei
confronti della Shoah, una tragedia che venne nascosta e avvolta in una
nuvola di doloroso imbarazzo reticente negli anni immediatamente
successivi alla fine della guerra.
Basti ricordare il rifiuto di
pubblicare da Einaudi Se questo è un uomo di Primo Levi, motivato dalla
stanchezza che l’opinione pubblica, a tragedia appena conclusa e con una
guerra che aveva provocato milioni di morti, si riteneva provasse per
lo sterminio del popolo ebraico. O la stessa freddezza del neonato Stato
di Israele in cui (come ha raccontato Tom Segev nel libro Il settimo
milione) la glorificazione del nuovo ebreo, cresciuto nel kibbutz e
nella religione del duro lavoro protetto dalle armi dell’esercito
popolare, doveva mettere nell’ombra la vergogna degli ebrei rimasti in
Europa e condotti «al macello» senza reagire, a parte l’eroismo del
Ghetto di Varsavia. Fu quel diario a risvegliare una memoria intorpidita
e sulla difensiva.
Lungi dal fornire dello sterminio l’immagine
edulcorata appassionatamente denunciata da Cynthia Ozick, i fogli
scritti da Anne Frank sono la testimonianza ineludibile della
mostruosità della Shoah. Che infatti fanno infuriare gli antisemiti,
come i neonazisti che a Tokio, in un raid coordinato in varie
biblioteche, hanno lacerato con i temperini numerose copie del Diario. O
come gli energumeni ignoranti che in uno stadio italiano hanno creduto
di offendere gli avversari paragonandoli ad Anne Frank: loro
immaginavano che fosse un insulto perché da qualche parte erano stati
raggiunti dal messaggio secondo cui quel diario e quella ragazza
contenessero qualcosa di pericoloso per i loro pregiudizi.
L’interminabile
«caso Anne Frank» non sarà spento fino a che esisteranno sacche di
resistenza alla verità terribile di Auschwitz. Un libro che ha sconvolto
la sensibilità contemporanea, ed è questo che alimenta i furori di un
«caso» destinato ancora ad agitare le nostre passioni.