venerdì 18 gennaio 2019

Il Fatto 18.1.19
Brexit, il muro di Corbyn: non si tratta sul ‘no deal’
Il leader laburista apre all’ipotesi di un secondo referendum e avvisa i suoi: dialogo con May solo se rinuncia al divorzio senza accordo dall’Ue
di Sabrina Provenzani


“Se il governo rimane intransigente, bloccando il supporto all’alternativa del Labour per calcoli elettorali, e il Paese si trova di fronte al potenziale disastro di un ‘no deal’, è nostro dovere prendere in considerazione le altre opzioni uscite dal nostro congresso, inclusa quella di una votazione popolare”.
Ieri per la prima volta il segretario laburista Jeremy Corbyn, durante un atteso discorso nella cittadina costiera di Hastings, ha aperto pubblicamente all’ipotesi di sostenere un secondo referendum, come richiesto da circa il 70% dei membri del suo partito e da 71 su 256 deputati laburisti.
Un’apertura dovuta forse anche alla minaccia dei Lib-Dem, il cui segretario Vince Cable ha dichiarato che appoggerà una nuova mozione di sfiducia laburista solo in cambio dell’impegno a sostenere un People’s Vote. E andare a elezioni è ancora il primo obiettivo del segretario. Corbyn comunque non ha chiarito quale sarebbe la posizione del suo partito, se in una eventuale campagna referendaria sceglierebbe il campo del Remain, preferito dagli iscritti, o quello del Leave, che nel referendum del giugno 2016 aveva raccolto tre milioni di voti rossi. Lo deciderà il partito a tempo debito, ha spiegato.
Sono passate meno di 24 ore dal fallito tentativo di far cadere il primo ministro May, mercoledì sera, con una mozione di sfiducia bocciata per 19 voti. Corbyn riparte subito all’attacco della linea dell’esecutivo. L’offerta di dialogare, dice, “è solo di facciata, non un serio impegno ad affrontare la nuova realtà” di un ‘deal’ morto e sepolto dopo la rovinosa bocciatura di martedì scorso alla House of Commons. Per questo, Corbyn rifiuta, finché il governo non abbia tolto dal tavolo la “disastrosa” opzione di un ‘no deal’, di partecipare alle consultazioni avviate ieri mattina dalla premier con tutte le forze politiche per uscire dall’impasse.
Malgrado il veto di Corbyn, esplicitato in una lettera ai suoi parlamentari, i deputati si parlano eccome. Il ministro ombra per la Brexit, Keir Starmer, non ha mai interrotto il dialogo con i Tory Remainers: un rapporto che potrebbe rivelarsi decisivo per orientare la Brexit verso una versione morbida. E nel pomeriggio, in un colloquio a quattro, i laburisti Hilary Benn e Yvette Cooper hanno fatto arrivare a David Lidington, vice di fatto della May, e al potente ministro per l’Ambiente Michael Gove il messaggio del segretario: il primo passo è scongiurare un ‘no deal’.
Theresa May non può farlo, almeno apertamente, perché questo alienerebbe i falchi Brexiteers e gli unionisti irlandesi di cui ha ancora bisogno per restare in sella.
Ma uno scoop del Telegraph ieri ha rivelato un fondamentale retroscena. In una conference call con 330 imprenditori importanti, subito dopo la bocciatura dell’intesa con l’Ue, il ministro del Tesoro li ha rassicurati sul fatto che il ‘no deal’ possa essere fermato grazie a una mozione parlamentare che sarà presentata lunedì dal deputato conservatore Nick Boles e che, garantisce Hammond, può ottenere la maggioranza parlamentare. Colpo basso, da cui Downing street ha dovuto prendere le distanze.
Sempre lunedì, al termine di un fine settimana di colloqui, May dovrà presentare la bozza del suo piano B, che il Parlamento voterà il 29 gennaio. A due mesi esatti dal Brexit Day.