Il Fatto 17.1.19
Europa
Ora arriva l’inferno delle incertezze
Per evitare le conseguenze negative (specie in Irlanda) bisogna rinviare la scadenza del 29 marzo
di Barbara Spinelli
Il
voto di martedì sera alla Camera del Comuni è stato un colpo
particolarmente duro per Theresa May – non ci aspettava un’opposizione
così massiccia alla sua linea negoziale sulla Brexit – ma è lungi
dall’essere chiarificatore. Ancora non è dato sapere quale sarà
l’alternativa che raccoglierà il consenso del Parlamento, quanto tempo
il premier resterà in carica, cosa voglia esattamente la maggioranza dei
deputati, dopo aver detto quello che non vuole. Il negoziatore
dell’Unione, Michel Barnier, non intende negoziare un nuovo trattato di
separazione, soprattutto per quanto riguarda la questione nord irlandese
e i diritti dei cittadini, e una Brexit nel caos – un no-deal Brexit –
si fa più minaccioso e probabile.
È soprattutto per il Nord
Irlanda che la prospettiva del no-deal sarebbe nefasta. L’accordo
negoziato con Theresa May era congegnato in maniera tale da tutelare il
Good Friday Agreement, che nel 1998 mise fine a decenni di sanguinose
guerre in Nord Irlanda, conferendo ai nord irlandesi il diritto di
proclamarsi cittadini della Repubblica di Irlanda oltre che della Gran
Bretagna, e di rimanere de facto e de jure, dopo il Brexit, dentro
l’Unione europea. Un’uscita senza accordo rappresenterebbe una lesione
dell’accordo del Venerdì Santo, e non è da escludere che prima o poi una
maggioranza di nord irlandesi sceglierà la via di un referendum sulla
riunificazione dell’Irlanda, pur di evitare una rigida frontiera fra le
due parti dell’isola e di restare in Europa e nel suo ordinamento
giuridico
Ma anche per i cittadini europei nel Regno Unito, e per
gli inglesi che vivono nell’Unione, l’orizzonte è scuro. L’assenza di un
Withdrawal Agreement li priverebbe in poco tempo di tutti i diritti
legati alla libertà di movimento di cui hanno sin qui goduto (previdenza
sociale, permessi di lavoro, riconoscimento delle qualifiche personali,
ricongiungimenti familiari, ecc). Dal limbo conosciuto negli anni
successivi al referendum sulla Brexit passerebbero all’inferno
dell’incertezza legale. Difficile dire come si potrà uscire da questa
massiccia sconfessione della linea dell’esecutivo senza che il popolo
britannico sia di nuovo interpellato, restituendo spazio e voce a chi
nel 2016 aveva votato contro la Brexit (non solo Nord Irlanda ma anche
Scozia, Gibilterra, Londra).
Se il no-deal sarà confermato – o se
la Brexit non verrà revocata – l’Unione non avrà praticamente armi per
difendere i propri cittadini, che dal giorno alla notte diverranno
cittadini di Paesi terzi. Legalmente potrà impegnarsi solo negli ambiti
in cui sarà in grado di esercitare, e sin da principio, un’influenza.
Quel che si spera è che preservi unilateralmente, come primo atto, i
diritti dei residenti inglesi nel proprio territorio: raccomandando
l’allineamento delle procedure nazionali in materia di residenza e
permessi di lavoro alle “migliori pratiche” già prospettate in alcuni
Paesi membri, e garantendo che tali diritti includano non il soggiorno
nei singoli Stati e il libero movimento nell’Unione.
Ben più grave
il caso dei cittadini europei in Gran Bretagna: sono più di 3 milioni, e
in uno scenario no-deal diverranno vittime, come già purtroppo lo sono i
cittadini di Paesi terzi, dell’ambiente ostile – hostile environment –
promosso esplicitamente da Theresa May nel 2012, quando era ministro
dell’Interno (gli italiani residenti in Gran Bretagna, iscritti o no
all’Aire, sono circa 675.000). Le promesse fatte dal primo ministro
potranno essere revocate dal Parlamento d’un solo colpo, quando vorrà.
Solo un trattato internazionale che salvaguardi i diritti iscritti nel
Withdrawal Agreement darebbe ai cittadini europei in Gran Bretagna le
certezze legali che essi chiedono con insistenza da anni. Il ringfencing
dei diritti – la loro messa in sicurezza – è possibile se l’Unione,
oltre a proteggere unilateralmente i residenti inglesi in Europa,
condizionerà i negoziati sulle future relazioni a un preliminare accordo
bilaterale Unione-Regno Unito che sia equiparabile a un trattato
internazionale vincolante, e che preservi e migliori il capitolo diritti
del Withdrawal Agreement. Anche per questo è cruciale dare alla Gran
Bretagna più tempo, oltre la data di recesso del 29 marzo, per uscire
dalle difficoltà presenti in modo da non distruggere due anni di
negoziato con l’Unione e salvaguardare sia i cittadini post-Brexit, sia
l’accordo del Venerdì Santo.