Il Fatto 14.1.19
L’ansia degli Usa per la Cina: la guerra fredda tecnologica
Dietro
lo scontro commerciale sui dazi c’è il timore di Washington per il
sorpasso di Pechino sul fronte più delicato, quello della gestione dei
dati. L’arresto della figlia del fondatore del gruppo tech è solo
l’inizio
di Marco Berlinguer*
Il primo dicembre
Cina e Stati Uniti hanno sancito una tregua nella guerra commerciale e
si sono dati 90 giorni per negoziare. Lo stesso giorno Meng Wanzhou,
responsabile finanziaria di Huawei e figlia del fondatore, veniva
arrestata in Canada su richiesta degli Stati Uniti, con l’accusa di aver
violato le sanzioni contro l’esportazione di tecnologie americane in
Iran. Pochi credono che si tratti solo di una vicenda giudiziaria. E i
cinesi meno di tutti.
L’arresto di Meng Wanzhou ha rivelato la
preoccupazione principale degli Usa: il primato hi-tech e l’ambizioso
piano pluriennale – Made in China 2025 – approvato dal governo cinese.
Il piano – con un mix di Stato e mercato – vuole spostare l’industria
cinese nelle parti più alte delle catene di produzione globali e di
accrescerne l’indipendenza tecnologica. Nel 2018 il think tank
statunitense Council on Foreign Relations lo ha definito una “minaccia
esistenziale per la leadership tecnologica statunitense”. Huawei, che
nega tutte le accuse, è oggi il più grande produttore mondiale di
apparecchiature per le telecomunicazioni, e nel 2018 ha superato Apple
come secondo produttore di smartphone. É soprattutto l’impresa cinese di
punta nel 5G, la prossima generazione di comunicazioni wireless.
Un’infrastruttura critica. Su questa rete si appoggeranno banda larga
mobile e internet delle cose; correranno nel futuro i dati globali; e si
svilupperá la nuova ondata di innovazioni digitali. La sua
sperimentazione commerciale comincerá quest’anno. E per la prima volta
in una corsa tecnologica, la Cina si presenta in pole position. Dispone
di tecnologie analoghe o piú avanzate di Stati Uniti e Europa. E piú
economiche.
Anche nell’intelligenza artificiale la Cina ha
mostrato di essere in grado di puntare alla leadership dell’innovazione,
specie dove l’interesse del governo coincide con quello delle imprese.
Molti cominciano a temere che nelle tecnologie basate sull’uso dei dati,
come l’intelligenza artificiale, la Cina disponga di un doppio
vantaggio: i numeri e la libertá di usare i dati. Tanto per la Cina come
per gli Usa, la questione é gestire l’inevitabile ascesa cinese. Il
governo cinese ha appena festeggiato 40 anni di marcia trionfale di
sviluppo. Si puó fermare questa ascesa? O almeno ritardarla? Se non si
puó con la forza del mercato, é possibile appellarsi a una questione di
sicurezza.
L’arresto di Meng non é un’occorrenza individuale. I
servizi segreti dei Paesi anglosassoni – i Five Eyes: l’alleanza di
intelligence che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito
e Stati Uniti – si sono riuniti nel 2018 e si sono fatti una domanda:
affidereste infrastrutture e dati a un’impresa cinese? E hanno stabilito
che c’é un rischio di spionaggio. Il congresso Usa, in ottobre, ha
impartito ad amministrazioni e imprese la raccomandazione di evitare due
compagnie, Huawei e Zte, accusate di avere forti legami con governo ed
esercito. Il fondatore di Huawei é un ex-ingegniere dell’esercito. E
tutti sanno che nessuna societá cinese puó scappare dall’accusa di
collaborare col governo.
Altri governi si stanno allineando.
Australia, Nuova Zelanda, hanno emanato norme. Il Giappone é in procinto
di farlo. Diverse compagnie private vogliono rivedere i loro accordi
con Huawei, anche in Europa. La Germania, tuttavia, per il momento, non
si é allineata. I servizi segreti tedeschi hanno concluso uno studio
sulle apparecchiature Huawei, e hanno dichiarato che non hanno trovato
evidenze di rischi di spionaggio.
Il timore dei cinesi é che gli
Usa puntino a una strategia di parziale “disaccoppiamento”. Se una
scissione integrale dalla Cina é impossibile, si puó erigere una nuova
cortina di ferro, limitata alle tecnologie critiche. Non é facile
immaginarsi le implicazioni. L’interdipendenza é oggi elevata. Metá
della produzione Apple é assemblata in Cina, che é anche il suo secondo
mercato.
Soprattutto, se si andasse verso doppi standards
tecnologici, verso la creazione sfere d’influenza (tecnologiche, ma
anche economiche, politiche), come si allineeranno i paesi terzi? I
costi sarebbero elevati per tutti ed é facile immaginarsi le resistenze
del il governo Usa: dentro gli stessi Stati Uniti, in Occidente, e ancor
di piú nel resto del mondo. Una rottura di questa portata, con le nubi
che si addensano sull’economia mondiale, fa paura a tutti.
La Cina
é comunque molto vulnerabile. La scorsa estate Zte – l’altra azienda
cinese di punta nel 5G – sotto accusa come Huawei – é stata messa in
ginocchio dal divieto di esportazione di componenti dagli Usa. Costretta
a pagare una multa stratosferica, ha dovuto cambiare l’intero staff
manageriale.
La Cina ha risposto accelerando i suoi piani di
“autosufficienza” tecnologica, investendo in microchip, la sua maggiore
vulnerabilitá. Ma cerca l’accordo. Gli Stati Uniti chiedono modifiche al
Made in China 2025: l’apertura del mercato cinese, meno discriminazioni
per le imprese straniere, riduzione dell’economia statale protetta, un
cambio nelle politiche industriali considerate mercantilistiche. La Cina
sa che il tempo gioca a suo favore ed é pronta a ridurre piani e
ambizioni. Ma quello che la Cina è disposta a concedere potrebbe non
bastare. Tanto l’accordo come la rottura sono scenari irrealistici.
*ricercatore presso l’IGOP – UAB Barcellona