Il Fatto 14.1.19
La “catturandi” dei tesori spariti contro Getty&C.
La
“missione” di carabinieri, magistrati e avvocati: “Così riportiamo in
Italia le opere sottratte da altri stati, dai boss o dai trafficanti”.
La “guerra” con gli Usa per l’Atleta di Lisippo
Come in “Monuments Men” di Clooney
Si racconta di come degli storici dell’arte abbiano salvato opere preziose sottranedole alla furia devastatrice di Hitler
di Andrea Giambartolomei
È
una “grande caccia”. Da una parte le migliaia di opere d’arte sottratte
al nostro Paese: rubate durante le guerre, saccheggiate da criminali,
mafiosi e lestofanti, trafficate da mercanti senza scrupoli. Dall’altra
chi si è dedicato e si dedica al loro recupero, come fosse una
“missione”. “Ci auguriamo che nel corso di quest’anno possa essere
finalmente restituito alle Gallerie degli Uffizi di Firenze il celebre
Vaso di Fiori del pittore olandese Jan van Huysum, rubato da soldati
nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale”, ha detto all’inizio
dell’anno il direttore Eric Schmidt rivolgendosi alla Germania. Quella
tela è una delle opere sfuggite al lavoro di Rodolfo Siviero e dei suoi
collaboratori. Personaggio da film, Siviero: critico d’arte, spia del
regime fascista, durante gli anni del conflitto mette dipinti, statue e
altri beni culturali italiani al riparo dall’opera di saccheggio
condotta da Hermann Göring per conto di Adolf Hitler e poi dall’esercito
tedesco. La sua figura è meno nota dei Monuments men statunitensi a cui
George Clooney ha dedicato un film.
Le gesta di Siviero, come
quelle dei soprintendenti Pasquale Rotondi ed Emilio Lavagnino, sono
invece rimaste nell’ombra, conosciute soprattutto da storici e
appassionati. Così come restano spesso nell’ombra le azioni degli uomini
che oggi sono impegnati in questa battaglia di recupero di opere d’arte
trafugate dai nazisti, rubate da ladri (e magari finite in mano ai
boss), oppure di reperti archeologici di grande valore, scavati di
nascosto dai tombaroli, passati a intermediari e mercanti, finiti ad
arricchire le collezioni di musei o di privati. Si tratta di persone
come Nicola Candido, tenente colonnello che comanda il reparto operativo
del nucleo “Tutela patrimonio culturale” dei carabinieri. Questo nucleo
guidato dal generale Fabrizio Parrulli, composto da trecento militari
dell’Arma suddivisi in quindici nuclei territoriali, è stato nato il 3
maggio di cinquant’anni fa, pochi mesi prima di un furto d’arte ancora
irrisolto, quello della Natività dipinta da Caravaggio ed esposta
all’Oratorio di San Lorenzo a Palermo. Sono specializzati nelle indagini
su furti e traffici di opere d’arte e reperti archeologici, ma anche
sul mercato dei falsi. Uno degli strumenti del “Tpc” è la banca dati:
“Ci risultano 2.434 beni trafugati nel periodo della Seconda guerra
mondiale”, spiega il tenente colonnello Candido. Tra quelle c’è la Testa
di fauno, un marmo scolpito da Michelangelo, custodito al museo del
Bargello e rubata nel 1944. In altri casi, invece, i carabinieri hanno
raggiunto un obiettivo: “Nel corso degli ultimi anni abbiamo recuperato
42 opere”. Ad esempio nell’aprile 2016 sono stati sequestrate a due
collezionisti milanesi tre tele che i nazisti avevano rubato alla
famiglia ebrea Borbone-Parma a Camaiore: una “Madonna con Bambino”,
attribuita a Cima da Conegliano, una “Trinità”, attribuita ad Alesso
Baldovinetti e una “Circoncisione e presentazione di Gesù al Tempio” di
Girolamo Dai Libri. Molte altre vanno ancora ritrovate: “Ne abbiamo
localizzate 15. Ora sono in corso indagini”. A occuparsi di queste
attività stragiudiziali è il comitato per il recupero e la restituzione
dei beni culturali, un organo del ministero della Cultura. Ne fanno
parte, oltre al generale Parrulli, anche il capo del gabinetto del
ministero, Tiziana Coccoluto, magistrato di Roma, e Lorenzo D’Ascia,
avvocato dello Stato e oggi capo ufficio legislativo del Mibac che nel
2014 ha preso il testimone di Maurizio Fiorilli, suo collega che ha
seguito molti casi: come il recupero di opere acquistate dal J. Paul
Getty Museum, ultimo in ordine di tempo il caso dell’Atleta di Lisippo,
una statua ritrovata nel 1964 da alcuni pescatori al largo di Fano,
ceduta a dei ricettatori, esportata illecitamente in Germania e poi
venduta al collezionista per la sua “Getty Villa” a Malibù.
La
Cassazione all’inizio di dicembre ha confermato la confisca stabilita a
giugno dal Tribunale di Pesaro. Ora la procura marchigiana sta lavorando
alla rogatoria per eseguire la sentenza con l’aiuto delle autorità
statunitensi. In parallelo si muoveranno anche i canali diplomatici: “Si
lavorerà anche per cercare un accordo”, spiega D’Ascia. A differenza
dei casi precedenti, nei quali il Getty ha restituito dei reperti dopo
un prestito, questa volta il museo resiste ancora: “Se uno decide di
difendersi per le vie giudiziarie poi deve accettare il verdetto. Il
Getty ha avuto modo di difendersi e non può dire che non gli basta”,
spiega. “Ci aspettiamo che gli Usa rispettino la sentenza”, ha affermato
il ministro Alberto Bonisoli dopo la riunione straordinaria del
comitato mercoledì scorso. A far ricominciare le indagini sulla statua
sono stati due marchigiani, il professore Alberto Berardi e l’avvocato
Tullio Tonnini insieme all’associazione “Le cento città”: “Berardi aveva
recuperato un frammento dell’incrostazione del reperto e nel 2007 hanno
presentato un esposto alla procura di Pesaro – spiega ora il figlio,
Tristano Tonnini -. Mio padre è venuto a mancare dopo poco e da allora
ho seguito tutta la vicenda”. Ci sono voluti più di dieci anni per
arrivare a un risultato: “Ora aspettiamo il rientro. Spero che
l’amministrazione di Fano si dia da fare”. Oltre all’Atleta di Lisippo,
mercoledì il comitato ministeriale ha trattato anche la vicenda del
dipinto reclamato da Schmidt, il cui recupero è più difficile perché
“stiamo parlando di un’opera che in questo momento è proprietà di un
privato”, ha detto Bonisoli. Sulla vicenda indaga anche la procura di
Firenze.
Non è l’unica inchiesta penale finalizzata al recupero di
opere sottratte dai nazisti. A Bologna il sostituto procuratore Roberto
Ceroni si sta battendo affinché tornino in Italia otto tele di
Tintoretto, Tiziano, Carpaccio e altri esportate da Göring e finite al
Museo di Belgrado. Il Maresciallo del Reich le aveva comprate a Firenze e
il “Kunstschutz”, servizio di “protezione dell’arte”, le aveva portate
(come tante altre opere, libri e archivi) in Germania. Al termine del
conflitto gli statunitensi si fanno ingannare da Ante Topic Mimara,
falsario jugoslavo, che le porta a Belgrado come risarcimento dei danni
della guerra. Da lì tornano in Italia nel 2004 per una mostra a Bologna,
“Da Carpaccio a Canaletto, tesori d’arte italiana dal Museo nazionale
di Belgrado”. Poi, finita l’esposizione, rientrano in Serbia. Solo nel
2014 i carabinieri del Tpc di Firenze, controllando il database delle
opere rubate, si rendono conto che quelle tele sparite erano ricomparse
in Italia e poi erano state rimandate a Belgrado. A quel punto il
sostituto Ceroni avvia un’indagine per il reato di impiego di beni di
provenienza illecita e indaga l’ex direttrice della Pinacoteca Jadranka
Bentini, l’ex funzionaria dell’ufficio esportazione Armanda Pellicciari e
la curatrice della mostra Rosa D’Amico. A fornire prove sulla proprietà
italiana delle tele è la dottoressa Maria Liberatrice Vicentini, dagli
anni Ottanta e fino al pensionamento anima dell’archivio Siviero, un
ufficio del ministero degli Esteri (ora passato al Mibac) che conserva
le carte raccolte dallo “007 dell’arte”. Al termine del processo Ceroni
chiede l’assoluzione delle tre imputate perché mancava l’intenzione di
commettere il fatto, ma vuole che si ordini la confisca dei dipinti.
Così è. Il gup Gianluca Petragnani Gelosi accoglie la richiesta e ora
ricomincia con una nuova rogatoria l’attività per il recupero (una prima
richiesta è stata bocciata dalla magistratura serba), mentre nel
frattempo il Mibac coltiva i rapporti coi colleghi di Belgrado e l’aiuto
del Ministero degli Affari esteri, tramite l’ambasciata, è impegnata a
“convincere” la Serbia.
Un’altra tela è l’oggetto di una recente
inchiesta della Dda di Palermo. Per i carabinieri è l’opera “Most
wanted” e l’Fbi statunitense l’ha inserita nelle dieci più importanti
opere d’arte rubate: è appunto la “Natività con i santi Lorenzo e
Francesco d’Assisi” di Caravaggio, rubata nel 1969 dall’Oratorio di San
Lorenzo, passata dalle mani dei ladri fino ad arrivare a quelle del boss
Tano Badalamenti, come sostiene l’Antimafia. A coordinare l’indagine,
cinquant’anni dopo il furto, è un giovane sostituto procuratore in forza
alla Distrettuale antimafia palermitana, Roberto Tartaglia e all’opera
ci sono i carabinieri del nucleo “Tpc” che sulla tela di Caravaggio non
hanno mai smesso di lavorare.