Il Fatto 12.1.19
Dall’arrivo allo sbarco: le regole del mare
Come funziona - Il codice della navigazione e le competenze di Infrastrutture e Viminale
di A. Mass.
Porti
chiusi. Porti aperti. Dice bene Salvini quando annuncia la chiusura dei
porti alle navi che hanno soccorso i migranti? O dicono bene i
presidenti dei porti, quando spiegano che non li ha mai chiusi nessuno?
Ma soprattutto: come funziona la chiusura dei porti?
Innanzitutto,
non spetta al Viminale la chiusura di alcun porto, ma al ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti, quindi a Danilo Toninelli. Quel
che il Viminale può fare, invece, è non autorizzare lo sbarco dei
migranti sul suolo italiano, che è ben altra cosa. Ma come si fa a
chiudere un porto? Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti deve
adottare un provvedimento apposito e ovviamente motivato.
“Il
ministro dei Trasporti e della navigazione – recita l’articolo 83 del
codice della navigazione – può limitare o vietare il transito e la sosta
di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine
pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il ministro
dell’Ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino,
determinando le zone alle quali il divieto si estende”.
In assenza
di un provvedimento simile, il porto si ritiene aperto. E i suoi
responsabili sono tenuti – nel caso sia necessario, in base all’articolo
1113 del codice della navigazione – a “cooperare con i mezzi dei quali
dispone al soccorso di una nave”, di “un galleggiante” o “di una persona
in pericolo”, pena la reclusione da uno a tre anni per omissione di
soccorso.
E quindi: se una nave chiede di entrare nel porto, in
assenza di un provvedimento di chiusura, che accade? Le possibilità sono
tre. L’autorità portuale concede il permesso; sceglie di non rispondere
formalmente, creando una provvisoria situazione di stallo; decide di
non assegnare la banchina. In questi ultimi due casi, nei fatti, chiude
l’accesso a un porto aperto. Ma è sempre tenuta a rispettare l’articolo
1113 per non incorrere nel reato di omissione di soccorso.
Ora
andiamo oltre e analizziamo un altro scenario: che accade se invece la
nave chiede il permesso di entrare in porto, lo ottiene ed è autorizzata
anche ad attraccare al molo? I migranti soccorsi possono finalmente
sbarcare? La risposta è: no. È da questo momento, infatti, che la
competenza si sposta dal ministero dei trasporti e delle infrastrutture
al Viminale.
È al ministero dell’Interno che spetta indicare alla
nave il “porto sicuro” dove sbarcare. Ed è su questo che si gioca la
propaganda del linguaggio di Salvini: se dicesse “stop all’indicazione
dei porti sicuri” l’affermazione sarebbe più vicina alla verità e alle
sue reali possibilità. Vediamo perché.
Lo sbarco dei migranti
presuppone una serie di misure propedeutiche: l’arrivo della polizia – o
altre forze – per gestire la questione dell’ordine pubblico, per
esempio. L’invio di medici per questioni di natura sanitaria.
L’organizzazione della prima accoglienza sul territorio. Tutti settori
che esulano dalle responsabilità del ministero retto da Toninelli e
sono, invece, di competenza del Viminale, che deve mettere in piedi la
macchina organizzativa. È per questo che l’autorizzazione allo sbarco, e
quindi l’indicazione del luogo dove sbarcare, ovvero il “porto sicuro”,
spetta a Salvini. E il Viminale – come già accaduto nell’estate scorsa a
Pozzallo e a Catania – può scegliere di temporeggiare e non fornire
alcuna indicazione. Impedendo così lo sbarco, ma senza chiudere alcun
porto, e per un semplice motivo: non rientra nelle sue competenze.