venerdì 11 gennaio 2019

Il Fatto 11.1.19
Peppone ora è liberal. E don Camillo soviet
di Pietrangelo Buttafuoco


E poi dice che uno si butta col contrappasso.
Il Compagno Don Camillo non ha che Mosca, e così Peppone – fedele alla linea CCCP – deve invece scapparsene dalla Russia perché il suo stato guida è ormai l’indefinito Occidente delle transazioni bancarie, cosmopolite e liberiste. La guerra tra i nemici della società libera – quelli del partito russo in Europa – e i suoi difensori si gioca all’ombra del doppio incrocio dell’isolazionismo Usa voluto da Donald Trump e dalle trame informatiche della Russia.
Ne ha parlato, con la consueta e sapiente perizia, Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di martedì mettendo in fila i tre argomenti incombenti oggi: la Casa Bianca che rinuncia alla guardiania sul mondo “libero”, la crisi dell’Unione europea e le insorgenze populiste nel dappertutto illiberale. Non è certo il caso di Panebianco, quello di inciampare nella russofobia, ma un’omissione – una dimenticanza – c’è ed è in un dettaglio: la Russia, al pari dell’Inghilterra, è una potenza europea. Lo è culturalmente, storicamente e anche – oltre a condividere con la Gran Bretagna il retaggio imperiale – nella sua intima vocazione. Non fosse altro per lo spirito russo che ha consentito a un popolo con oltre cento milioni di martiri – cento milioni di morti in settant’anni di materialismo ateo e scientifico – di restituirsi alla luce e sopravvivere alla più perfettamente architettata tra le dittature del totalitarismo novecentesco. Quella stessa macchina ideologica che consente ai suoi devoti supporter di appena ieri – Giorgio Napolitano su tutti – di apparire oggi tra i campioni del liberalismo, difensori, appunto, della “società libera” e nemici del partito russo in Europa. Ed è il pieno contrappasso perché davvero il manesco parroco della Bassa creato dal genio di Giovannino Guareschi solo oltre gli Urali troverebbe oggi chiese piene di fedeli e vive di fede. Sono quelle stesse visitate in incognito, trasformate in granai al tempo in cui un Napolitano – il Peppone in loden e borsalino – si schierava coi carrarmati dell’Armata Rossa contro la libertà d’Ungheria (lo stesso tempo in cui Vladimir Putin, futuro colonnello del KGB, veniva battezzato in clandestinità, quando si dice il contrappasso…). E avrebbe, don Camillo, molti più fedeli al seguito del suo Crocefisso nella terra redenta da Cirillo e Metodio. E ne avrebbe in maggior numero di quanti ne possa recuperare dall’alto del suo pulpito reso afono nell’Europa delle cosiddette “radici cristiane”, quella di oggi; mentre a Peppone – ritrovatosi liberal, senza più la Colomba della Pace disegnata dal tovarich Picasso – non resta altro pennuto che il tacchino del Thanksgiving di casa Clinton, e altra internazionale non può disporre che la globalizzazione. Una civilizzazione perfino missilistica se l’unica mistica perseguita dalla sinistra bohémien, oggi, è quella di raddrizzare il legno storto dell’umanità perché, si sa, se tu non vai dalla democrazia è sempre la democrazia a venire da te. Quando si dice la cara, vecchia e sempreverde Dottrina Bush, l’estremo Eden prima della caduta nell’isolazionismo imposto da Trump che, manco a dirlo, va a far dispetto a Hillary, a Barack e a tutto il cucuzzaro liberal ritirando le truppe Usa dalla Siria.
Ed è l’incombere del contrappasso. Certo, resta sempre il famoso fatto, anzi, la domanda delle domande: se non esiste più l’Unione sovietica perché mai c’è ancora la Nato, l’alleanza atlantica delle nazioni in allerta sulle mosse del Cremlino, forse perché – come col fascismo – si porta molto l’anticomunismo in assenza di comunismo, giusto a cercarlo in Russia dov’è ridotto al lumicino del folclore?
Non è appunto il caso di Panebianco la cui onestà intellettuale è fuori discussione.
L’illustre politologo coltiva una sua scelta di campo – la società libera – senza cedere al sentimento russofobo ben presente nella chiacchiera pubblica.
Un’avversione verso ciò che la Russia, liberandosi dall’incubo dei Gulag, ha svelato di essere: un’idea di stare al mondo ancora una volta dostoevskiana.
È l’affermazione con cui Dostoevskij, nel 1854, dichiarava il di più che è proprio dei russi: “Se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori delle verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori di Cristo, io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità”.
Ciò che alimenta la russofobia dei perbenisti non è neppure l’indole muscolare di Putin ma proprio questo tratto identificativo e sacrissimo del popolo russo che si fa vanto altresì della più numerosa comunità islamica su suolo europeo, come della remota impronta del lamaismo su cui ben poco può fare il nostro punto di vista, geograficamente strabico e storicamente, e culturalmente, infine, vocato a una sola destinazione: il contrappasso.
Il loro Buio a mezzogiorno è tornato luce. Ed è notte solo per noi.