Corriere La Lettura 6.1.19
L’impronta di Caravaggio sulla Maddalena
di Marco Nese
Nel
museo Jacquemart-André, a Parigi, i visitatori di questi giorni fanno
la fila per ammirare una mostra su Caravaggio. Nell’ultima sala sono
attratti da un’immagine potente. Una tela alta 106,5 centimetri e larga
91. Rappresenta la Maddalena. Su uno sfondo nero, il corpo di una donna
in estasi emerge dal buio e prende forma grazie a una luce abbagliante.
Attorno a quest’opera i critici d’arte si sono scervellati a lungo
cercando di capire se fu la mano di Caravaggio a dipingerla.
Poco
più di un anno fa, per eliminare i dubbi, il quadro venne affidato alle
mani sapienti degli studiosi dell’Opificio delle pietre dure di Firenze,
rinomati specialisti nel campo del restauro. Essi hanno visto affiorare
sotto lo sfondo scuro una forma di vegetazione composta da arbusti e
fogliame. Sono stati in grado di identificare la composizione chimica
dei colori. I materiali usati riportano all’epoca in cui lavorava
Caravaggio. Anche la tecnica pittorica concorre a rafforzare la
convinzione che il dipinto sia da attribuire alla mano di Michelangelo
Merisi, l’inquieto artista nato a Caravaggio nel 1571.
Le analisi
dell’opera sono racchiuse in una relazione che mercoledì 9 gennaio verrà
illustrata nel museo di Parigi. Sarà la storica dell’arte Cecilia
Frosinini a prendere la parola e offrire le sue valutazioni. «La
Lettura» ha potuto consultare in anticipo i risultati dell’indagine
diagnostica.
Ma prima di entrare nei dettagli è opportuno
inquadrare la fase della vita in cui Caravaggio compone l’opera. Siamo
nel 1606, il pittore ha 35 anni e vive a Roma, ha trovato da tempo
rifugio e protezione presso il cardinale Francesco Maria del Monte a
Palazzo Madama, attuale sede del Senato. L’uomo, però, è scontroso, gira
armato di pugnale, sempre incline «a far duelli e baruffe». Il 28
maggio 1606, forse per un diverbio nel gioco della pallacorda o per
l’offesa a una donna, si scontra proprio a duello con Ranuccio
Tomassoni. E lo colpisce a morte. Una disposizione di papa Sisto V vieta
il duello: chi lo pratica è punito con la pena capitale. Da quel
momento, Caravaggio rischia la vita nei territori dello Stato
pontificio. Fugge nei feudi laziali della famiglia Colonna che ne
assicura la protezione. E lì lavora con febbrile impeto. Dipinge la Cena
in Emmaus, che oggi si può ammirare nella Pinacoteca di Brera, a
Milano. Secondo gli antichi biografi dipinge anche una Maddalena a mezza
figura. Adesso dalle indagini tecniche arriva la conferma che la
Maddalena fu composta proprio in quel periodo. Cosa che forse consentirà
una collocazione definitiva di questo capolavoro nella storia artistica
di Caravaggio.
Cinque anni prima aveva dipinto un’altra tela con
soggetto la Cena in Emmaus, oggi custodita alla National Gallery a
Londra. La scena riflette il racconto dell’evangelista Luca, secondo il
quale a Emmaus, poco lontano da Gerusalemme, due discepoli incontrano
Gesù dopo la resurrezione. Le differenze fra le due opere sono abissali.
Nella prima, quella della National Gallery, i colori sono vivaci, Gesù
ha un viso delicato e sereno. Nella seconda Cena in Emmaus, dipinta
mentre il pittore è in fuga, la scena è tenebrosa, Gesù ha
un’espressione cupa mentre spezza il pane e su tutto l’ambiente grava un
fosco presagio. Qualcuno ritiene che Caravaggio abbia dipinto sé
stesso, disperato, nel volto di Gesù. Ma quello che a noi interessa sono
i punti in comune che gli specialisti hanno riscontrato fra questa
seconda Cena in Emmaus e la Maddalena in estasi, similitudini che
accreditano la tesi della composizione delle due opere nei mesi
trascorsi dal pittore nei feudi dei Colonna.
Il primo aspetto in
comune è lo sfondo. «Quando ho lavorato sulla Cena in Emmaus — spiega il
restauratore dell’Opificio, Roberto Bellucci — emerse in modo chiaro
che originariamente il quadro aveva uno sfondo paesaggistico. La stanza
in cui ha luogo la scena sacra presentava sulla destra un’apertura.
Poteva trattarsi di una finestra o una porta spalancata attraverso la
quale si vedeva un luogo alberato». Successivamente però Caravaggio
aveva coperto l’intero sfondo con un colore scuro. Secondo i critici, il
pittore aveva inizialmente scelto quella vegetazione per simboleggiare
la rinascita della natura insieme col ritorno alla vita di Gesù. Poi
però si era pentito e aveva cancellato ogni segno di letizia per creare
una scena di passione e penitenza. Nella composizione della Maddalena,
l’artista si comporta allo stesso modo. Prima dipinge, poi cancella. «In
un primo momento — racconta Bellucci — con la tecnica fotografica ad
alta definizione, grazie a numerosi scatti ricombinati insieme, abbiamo
cominciato a cogliere dei dettagli, delle masse, che compaiono sotto lo
strato scuro dello sfondo».
Per leggere meglio le immagini coperte
servivano strumenti più potenti. Allora ci si è rivolti all’Istituto di
Scienze e tecnologie molecolari del Cnr, con sede a Perugia. Lì
dispongono di una delle tante cose mirabili del nostro Paese. «Lavoriamo
con apparecchiature tecnologiche uniche — spiega Laura Cartechini,
ricercatrice chimica —. Le abbiamo sviluppate in collaborazione con la
ditta milanese XGlab. Per la Maddalena abbiamo usato uno scanner in
fluorescenza ai raggi X che ha analizzato la tela punto per punto
ricostruendo la distribuzione del colore nella fase creativa. I raggi X
sondano l’intera stratigrafia, è come aprire delle finestre attraverso
cui spingere lo sguardo su eventuali immagini sottostanti. Ci chiamano
per queste ricerche in tutta Europa. Recentemente il Museo di Munch, a
Oslo, ci ha commissionato un’indagine su una delle versioni dell’Urlo».
Sono
intervenuti sulla Maddalena anche i tecnici dell’Istituto di Fisica
nucleare di Firenze per studiare gli elementi chimici che compongono i
pigmenti pittorici. «Avere una conoscenza completa dei pigmenti e della
distribuzione dei colori — aggiunge Laura Cartechini — non serve solo a
creare una mappa degli strati dipinti, ma è indispensabile per eventuali
ritocchi conservativi». Mettendo insieme tutti i dati delle indagini in
ultravioletto e radiazione nell’infrarosso, il dipinto sembra diventato
trasparente. Il corpo della Maddalena semidisteso non è, come appare,
avvolto da una massa buia, ma poggia su alcune rocce coperte da un
pagliericcio. La figura della donna è inquadrata in una caverna sulla
cui apertura campeggiano in modo chiaro, in alto a sinistra, le foglie
di una vegetazione arricchita da fioriture. I rilievi tecnici non
lasciano dubbi sul fatto che lo scenario paesaggistico appartiene al
dipinto, che nella versione originale era stato concepito e realizzato
proprio con quello sfondo naturalistico. Il pittore aveva usato una
pennellata leggera, forse poco convinto del lavoro che stava
realizzando. E in un secondo tempo ha deciso di nascondere quelle
immagini sotto uno strato scuro. Maurizio Calvesi ha interpretato lo
sfondo scuro come tenebra, «simbolo del male e del peccato», mentre la
luce che inonda la figura femminile simboleggia la redenzione.
Ma
l’aspetto fondamentale delle ricerche è che la stessa tavolozza di
colori e stratigrafia di pigmenti accomuna le due opere, la Cena di
Brera e la Maddalena, e fa ritenere che a realizzarle sia stata la
stessa mano. Emerge una prevalenza del rame che è il principale
componente dei pigmenti verdi delle foglie. C’è una notevole presenza
delle terre combinate con l’ocra, mentre le lacche formano i rossi e
intervengono nella composizione degli incarnati. Nel panneggio della
Maddalena compare il cinabro, pigmento a base di mercurio. E gli ossidi
di ferro sono serviti a ricoprire con un velo scuro il paesaggio
sottostante.
Torniamo a Caravaggio fuggitivo. Lascia le terre dei
Colonna e va a Napoli sotto la protezione di Giovanna Colonna, figlia di
Marcantonio, vincitore della battaglia di Lepanto. Da Napoli fugge a
Malta, infine ritorna a Napoli. Nell’estate del 1610 sale a bordo di una
feluca, «con alcune poche robe per venirsene a Roma». Deodato Gentile,
vescovo di Caserta, scrive al segretario di Stato cardinale Scipione
Borghese che Caravaggio porta con sé tre dipinti, «doi San Joanni e una
Madalena». Forse li vuole donare proprio a Scipione Borghese per
ottenere la sua protezione.
Scende dall’imbarcazione a Palo, sul
litorale laziale, per proseguire verso Roma. Ma il capitano delle
guardie pontificie lo arresta. L’imbarcazione se ne torna a Napoli dove
riporta le tre tele. Uno dei San Giovanni si ammira oggi nella Galleria
Borghese a Roma. L’altro non si sa dove sia finito. La Maddalena invece
trova riparo in casa della principessa Carafa-Colonna a Napoli. E
diventa uno dei soggetti più copiati. Louis Finson, pittore fiammingo,
nel 1612 è a Napoli dove ammira la Maddalena e ne dipinge una sua
versione esposta ora nel Museo di Belle Arti di Marsiglia. Maurizio
Marini ha contato almeno sedici versioni o copie della Maddalena. Ci si
domanda se lo stesso Caravaggio ne avesse realizzate più copie. In ogni
caso, qual è il capolavoro iniziale da cui sono discese le varie
versioni? Qual è «l’archetipo»? — si domandava Roberto Longhi. Secondo
il critico d’arte Giovanni Carandente, «l’originale caravaggesco» è
proprio questo di cui parliamo, perché «risulta palese la superiore
qualità dell’opera rispetto alle varianti».
La Maddalena rimase in
casa dei Carafa-Colonna fino al 1873, quando la compra Michele Blundo,
che la lascia in eredità alla nipote sposata con l’avvocato Giuseppe
Klain, il quale nel 1976 la cede agli attuali proprietari, che
preferiscono rimanere anonimi. «Questo quadro — osserva Roberto
Bellucci, dell’Opificio fiorentino —, ha una storia documentata. A
differenza di Leonardo, Caravaggio lavorava da solo, non aveva allievi.
Allora, se non l’ha fatto lui chi è il pittore altrettanto bravo da
realizzare un capolavoro?».
E Caravaggio? Secondo la versione
ufficiale, liberato dalla prigione, fuggì lungo la costa e morì di
malaria a Porto Ercole. Una versione che lo studioso Vincenzo Pacelli
considera falsa. Sulla base di documenti scovati nell’Archivio segreto
del Vaticano, Pacelli sostiene che Caravaggio fu assassinato a Palo
Laziale.