Corriere La Lettura 20.1.19
Edgar Morin: la bellezza è conoscenza
di Nuccio Ordine
«Il
gusto è la facoltà di giudicare un oggetto o un tipo di
rappresentazione mediante un piacere, o un dispiacere, senza alcun
interesse. L’oggetto di un piacere simile si dice bello»: Immanuel Kant,
nelle prime pagine della Critica del giudizio (1790), spiega con
chiarezza che solo «il gusto del bello è un piacere disinteressato e
libero». E questa riflessione del filosofo tedesco è illuminante in una
società come la nostra dove ogni azione, ogni gesto, ogni parola deve
rispondere a un profitto.
La bellezza, al contrario, ci insegna
che esistono piaceri (o dispiaceri) che afferiscono esclusivamente alla
sfera del «gratuito» e del «disinteressato». Due parole ormai desuete,
in un lessico quotidiano sempre più dominato dall’ossessione del
guadagno e dall’angoscia di non «sprecare» il tempo.
Letteratura,
musica, filosofia, arte ci aiutano a capire che esistono cose
fondamentali — senza le quali non potremmo vivere — che sfuggono alla
logica utilitaristica e che servono esclusivamente ad arricchire lo
spirito. Montaigne, in una bellissima pagina dei suoi Saggi, ci ricorda
che «è il godere» e «non il possedere» a «renderci felici». Spetta alla
bellezza, insomma, testimoniare che si può gioire senza avere benefici
economici o pratici. Contemplare un monumento, ammirare un quadro,
ascoltare un concerto, leggere un romanzo o una poesia, significa vivere
un’esperienza in cui conta solo la nostra adesione disinteressata. Per
essere contenti (e, talvolta, estasiati) non c’è bisogno di portarsi a
casa Las meninas di Velázquez o di possedere il Partenone. Così come a
nessuno verrebbe in mente di chiedersi quale vantaggio pratico si
potrebbe ricavare dall’ascolto del sublime Erbarme dich mein Gott della
Passione secondo Matteo di Bach o dalla lettura dei Quattro quartetti di
T. S. Eliot.
Si tratta di questioni decisive in una società in
cui l’intero sistema educativo, la ricerca scientifica e le nostre
stesse relazioni personali sono inquinate dalla dittatura del profitto e
della rapidità, dalla miope visione che sia utile solo ciò che produce
soldi e benefici pratici. La bellezza non occupa purtroppo il ruolo
centrale che dovrebbe avere. Quando, non molto tempo fa, la furia
distruttrice di ignoranti barbari fondamentalisti si accaniva sui
monumenti di Palmira (Siria) o sui preziosi manoscritti delle
biblioteche di Timbuctù (Mali) — e l’elenco potrebbe arricchirsi di
centinaia di altri scempi perpetrati, in contesti diversi e con
differenti modalità e in differenti epoche — ci saremmo aspettati che le
grandi potenze inviassero in soccorso i loro eserciti. Pronte a
mobilitarsi per un pozzo di petrolio, le abbiamo viste indifferenti alla
distruzione di templi e statue, di documenti antichi e preziosi
manufatti artistici. Eppure si tratta di un patrimonio che, per il suo
valore universale, riguarda l’intera umanità: il Colosseo non appartiene
a un popolo o una nazione, ma a tutti gli esseri umani.
Non solo.
La necessità di proteggere la bellezza si fonda anche su un’altra
ragione: mentre un pozzo si può ricostruire in una qualsiasi altra
località ricca di giacimenti, le opere d’arte sono uniche e
irriproducibili. Ridurre in polvere i due splendidi bronzi di Riace (che
si possono ammirare nel Museo archeologico di Reggio Calabria)
significherebbe annientare, per sempre, capolavori che nessuno potrà più
riprodurre alla stessa maniera. Restare indifferenti di fronte alla
distruzione irreversibile della bellezza, significa essere moralmente
«complici» di chi la distrugge.
Ma esiste anche una bellezza
pre-estetica che è espressione della natura. Un fiore, un paesaggio, un
tramonto, la maestosità delle onde oceaniche, una stella cadente, le ali
colorate di una farfalla o il canto di un uccello possono produrre
un’emozione estetica straordinaria. Contribuiscono — al pari di un
romanzo, di un concerto, di un quadro, di un monumento — a creare una
potente alternativa all’aridità della «parte prosaica» delle nostra vita
(quelle cose che facciamo per un puro fine utilitaristico e pratico)
per coltivare invece quella «parte poetica» che, attraverso i diversi
livelli dell’emozione estetica, produce momenti di autentico godimento,
accrescendo la nostra sensibilità e rendendoci migliori.
Proprio
all’intreccio tra vita e sentimento estetico, tra cultura e natura, è
dedicato il recente saggio di Edgar Morin Sull’estetica (Raffaello
Cortina editore). Tra i più brillanti filosofi viventi, Morin ha il dono
di rendere semplici le cose difficili e, soprattutto, di fecondare con
il suo entusiasmo i temi di cui si occupa. Così, questo appassionato
giovanotto di 97 anni, ci regala acute riflessioni sulle molteplici
espressioni dell’estetica. Un’analisi delle emozioni che provengono «da
forme, colori, suoni» e «anche da racconti, spettacoli, poemi, idee»:
tutto ciò, insomma, che riguarda «il sentimento di piacere e di
ammirazione» (fino alle sue espressioni più intense, come la meraviglia e
la felicità) provocate «da un’opera d’arte ma anche da uno spettacolo
naturale».
Morin, attraverso un affascinante viaggio articolato in
otto brevi capitoli, affronta questioni di grande importanza: ci parla
del «sentimento estetico» (l’universalità e, nello stesso tempo, la
relatività della bellezza; il confine tra bello e brutto), discute le
relazioni tra magia e arte (il legame con le religioni e con lo
sciamanismo, la catarsi nel tragico e nei riti tribali, ma anche il
riflesso laico del sacro nella bellezza di una chiesa, di un tempio o di
un affresco), esamina il rapporto tra l’artista e la civiltà del denaro
(il passaggio dal mecenatismo al mercato e all’industrializzazione
dell’opera d’arte trasformata in merce), indaga la dialettica tra
«vecchio» e «nuovo» (il rigetto degli antichi canoni e la creazione di
modelli alternativi), scandaglia l’estetica allargata ad altre arti
(cinema, fotografia, fumetto, serie televisiva, pubblicità),
approfondisce il «mistero» della musica (come espressione altissima
della «nostra vita affettiva», anche nei generi come la canzone o gli
inni patriottici o i canti legati alle lotte politiche).
Per
Morin, nelle sue molteplici espressioni estetiche la bellezza non
suscita solo emozioni, ma è anche un importante strumento di conoscenza.
Ci fa capire che l’umanità «è al contempo una e diversa» e che «i
singoli individui recano in sé qualcosa di universale». E che la
comprensione umana ci aiuta a riconoscere l’identità comune «nell’altro,
nello straniero, nel diverso» attraverso la condivisa «possibilità di
provare dolore e felicità» e, nello stesso tempo, ci permette di
cogliere la differenza presente «nel carattere, nelle credenze, nei
costumi».
Ecco perché, in fin de conti, sono sempre più convinto
che sia compito fondamentale degli esseri umani preservare la bellezza
per permettere alla bellezza di rendere più umana l’umanità.