Corriere La Lettura 20.1.19
Arte La Pietà Rondanini
Michelangelo scalpella
il marmo che non serve
di Arturo Carlo Quintavalle
Non
finito, per Michelangelo, vuol dire incompiuto come nella tradizione
accademica? Prendiamo la Pietà Rondanini (oggi conservata al Castello
Sforzesco di Milano), che si data fra 1552 e 1564, un pezzo al quale lo
scultore lavora fino a pochi giorni dalla morte. L’opera reca tracce
evidenti di due fasi diverse: una prima scultura, più grande, della
quale resta ancora il braccio staccato del Cristo e nella quale il volto
della Madonna era forse rivolto verso l’alto, e una seconda, più
piccola, dove la composizione riutilizza le gambe semiflesse del Cristo
giunte allo stadio della politura mentre tutto il resto è abbozzato,
trattato a scalpello e gradina.
Altro caso, i Prigioni, parti del
monumento a Papa Giulio II, schiavi legati che escono dalla roccia, due
quasi del tutto rifiniti oggi al Louvre, gli altri alla Galleria
dell’Accademia di Firenze che, apparentemente incompleti, mostrano lo
sforzo della Forma di uscire dalla pietra.
Michelangelo non ha
avuto il tempo di concludere le opere o c’è una spiegazione diversa? In
un sonetto del 1544 scrive: «Non ha l’ottimo artista alcun concetto/
c’un marmo solo in sé non circoscriva/ col suo superchio, e solo a
quello arriva/ la man che ubbidisce all’intelletto». Dunque nella pietra
si scopre l’Assoluto, come suggeriva il neoplatonico Marsilio Ficino.
Vendere un’opera per noi non finita, donarla come farà l’artista con la
Pietà, è proporre la creazione che irrompe fuori della materia.