Corriere La Lettura 13.1.19
1848 Moti repressi ma fecondi, nasce la nuova politica
I popoli sulle barricate
E l’Europa voltò pagina
di Fulvio Cammarano
Nel
momento in cui il linguaggio si appropria di un termine mantenendolo in
vita per quasi due secoli, significa che quella parola ha scavato nel
profondo dell’immaginario collettivo. In questo senso poche date possono
reggere il confronto con il 1848. Quando si dice «succede un 48», tutti
sanno che si parla di grandi sconvolgimenti, come quelli che in effetti
attraversarono l’Europa tra il 1848 e il 1849. È stato definito l’annus
mirabilis, perché gli eventi di quel breve lasso di tempo non furono
una delle tante fiammate insurrezionali avvenute in Europa dopo la
Rivoluzione francese, ma un vero incendio, la cui intensità modificò
radicalmente i connotati politico-sociali del vecchio continente.
Nonostante la sconfitta dei movimenti popolari repressi con la forza,
infatti, mai come allora l’intero assetto politico e culturale
dell’Ancien Régime parve precario e destinato a scomparire.
La
sbalorditiva vastità di insurrezioni, barricate, terremoti istituzionali
— che in un baleno si diffusero in tutto il continente, fatta eccezione
per Belgio e Gran Bretagna — stavano inequivocabilmente a indicare che
l’insoddisfazione delle élite per gli esiti della Restaurazione,
manifestatasi nei moti degli anni Venti e Trenta, si era trasformata in
un concreto movimento politico di massa, che aveva finito per avvicinare
strati sociali diversi, uniti dalla comune esigenza di scardinare le
basi economiche, politiche e sociali dell’antico regime.
Il
ritorno all’ordine del 1849 non solo non mise fine a quella esigenza, ma
le diede una maggiore coscienza politica che venne ulteriormente
maturando nelle carceri, negli esili e nelle emarginazioni degli
sconfitti. Le differenti priorità delle lotte nei Paesi coinvolti non
facevano certo velo all’obiettivo comune: la legittimazione politica
delle classi dirigenti, una questione che trovò nella domanda della
Costituzione una parola d’ordine semplice quanto dirompente.
In
quell’anno rivoluzionario per eccellenza, liberalismo e democrazia
cominciarono dunque a proporsi come culture di governo, mentre il
Manifesto di Marx ed Engels evocava il fantasma del comunismo aleggiante
sulle barricate parigine. Si stava facendo strada la consapevolezza
che, come scrisse allora Tocqueville, «il campo del possibile è ben più
vasto di quanto immaginano gli uomini che vivono in ogni società».