lunedì 14 gennaio 2019

Corriere La Lettura 13.1.19
Pregiudizi Da Proudhon in poi l’odio contro gli ebrei si manifesta anche nel campo progressista, oggi soprattutto nei gruppi terzomondisti. Parla lo storico di Michel Dreyfus
Derive antisemite nella sinistra radicale
di Alessandra Tarquini


Direttore di ricerca emerito al Cnrs, lo storico francese Michel Dreyfus si è occupato del socialismo e del movimento sindacale. Il suo saggio L’antisemitismo a sinistra è uscito in Italia nel 2018 presso l’editore Free Ebrei.
Come mai il suo libro si intitola «L’antisemitismo a sinistra» e non «L’antisemitismo di sinistra»?
«Perché l’antisemitismo specifico della sinistra, nel senso più ampio del termine, è stato un fenomeno decisamente raro. In effetti, nella sua storia, la sinistra ha più spesso ripreso stereotipi sviluppati dalla destra e dall’estrema destra. Ho distinto nel corso degli ultimi due secoli cinque forme di antisemitismo: economico, razzista, complottista, revisionista e negazionista e, infine, antisionista nei confronti dello Stato di Israele».
Quali sono le origini teoriche e culturali dell’antisemitismo di sinistra?
«Come sappiamo, fin dal Medioevo gli ebrei sono stati identificati con l’usura dalla maggioranza della popolazione cristiana. All’inizio del XIX secolo, i socialisti utopisti li associano al nascente capitalismo attraverso un nome, quello dei Rothschild. Proudhon e Toussenel costruiscono un’immagine assimilando l’ebreo al mondo delle imprese e lo rendono un profittatore: hanno una grande responsabilità nella costruzione dell’antisemitismo di matrice economica. Invece Saint-Simon e i suoi seguaci non fanno commenti antisemiti. Inoltre, il pensiero marxista sin dalle origini ha non poche difficoltà con il concetto di religione, perché non include le categorie della lotta di classe: questo imbarazzo lo fa sottovalutare, o addirittura ignorare, la tradizione antisemita cristiana che permea la società. Allora l’antisemitismo conosce in Francia un secondo periodo, dal 1880 alla vigilia della Prima guerra mondiale. In un contesto di crisi economica e di ascesa del nazionalismo, razzista e xenofobo, le idee antisemite sono propagate dalla destra cattolica e dall’estrema destra. Idee che influenzano gran parte del socialismo di sinistra, anarchico e sindacalista, che si sta organizzando. Solo durante l’affare Dreyfus (1894-1906) e attraverso l’azione dei militanti, il più noto dei quali è Jean Jaurès, la sinistra capisce che deve rompere completamente con gli antisemiti. Dopo la Grande guerra e gli anni Venti, che rappresentano la “bassa marea” dell’antisemitismo, la violenza antiebraica torna nel decennio successivo, soprattutto a causa della crisi economica. Questo antisemitismo si basa su una tematica ancora diversa, quella secondo cui gli ebrei cospirano per dominare il mondo, come “dimostrano” i Protocolli dei Savi di Sion, un libro delirante uscito nel 1903, scritto dalla polizia segreta russa per dimostrare l’esistenza di un complotto ebraico ai danni dell’umanità. In quegli anni fra l’altro la violenza antisemita si esercita a sinistra contro il primo ministro Léon Blum, accusato nel Partito socialista di voler fare la guerra ai tedeschi perché Hitler perseguita gli ebrei come lui: anche a sinistra c’è chi pensa che gli ebrei vogliono dominare il pianeta e causare una nuova guerra mondiale».
Pensa che l’antisemitismo a sinistra sia una specificità francese o un fenomeno europeo?
«Rispondere è difficile oggi. L’antisemitismo a sinistra è stato oggetto ed è oggetto di numerosi studi in Italia, ma la ricerca deve ancora essere condotta nella maggior parte dei Paesi europei. In Belgio, alla fine del XIX secolo, il socialista Edmond Picard fece violente osservazioni antisemite; ma non so quale sia stata la sua influenza nel Partito dei lavoratori belga. In Germania, Rosa Luxemburg, Wilhelm Liebknecht e altri socialisti credevano che la sinistra non dovesse difendere Dreyfus, un borghese e un militare, mentre i socialisti francesi finiscono per abbandonare questa posizione. E che dire di Austria e Gran Bretagna? Certamente la questione provoca discussioni all’interno della Seconda Internazionale sin dal suo inizio».
La creazione dello Stato di Israele nel 1948 introduce un nuovo elemento. Come ha cambiato la diffusione dell’antisemitismo a sinistra?
«Il sionismo ebbe un inizio difficile in Francia e poi acquistò influenza e diffusione dalla Dichiarazione Balfour (1917), con la quale il ministro britannico manifestò la disponibilità del governo a considerare la Palestina come un focolare nazionale per gli ebrei. Da allora, la sinistra francese si è divisa tra i socialisti, sempre più numerosi, che sostengono il sionismo, e i comunisti e l’estrema sinistra, che lo criticano; la spaccatura tra queste due correnti continua e aumenta dopo il 1948, anche se le critiche a Israele espresse dai comunisti e dall’estrema sinistra non possono essere definite antisemitiche, nonostante le polemiche suscitate».
Quali sono le caratteristiche della riflessione della sinistra radicale?
«Sicuramente dagli anni Ottanta a sinistra, e in particolare nella sinistra radicale — l’estrema sinistra trotskista e anarchica —, sono aumentate le tensioni rispetto alla questione ebraica e all’antisemitismo: una manciata di attivisti di estrema destra, attivi sin dagli anni Sessanta, ha dato vita a una nuova forma di antisemitismo che infetta e si estende anche a una piccola parte dell’estrema sinistra. Alcuni negano il genocidio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale e associano tale negazione a una sfida totalmente antisemita all’esistenza dello Stato di Israele. E infine esiste una sesta forma di antisemitismo che sembra apparire oggi fra la sinistra più radicale, sempre meno vigile e all’interno della quale si moltiplicano gli slittamenti antisemiti. Questa corrente esprime un approccio critico e sommario al colonialismo: si tratta di una strana miscela di vittimismo e razzismo che ha una certa influenza in alcuni ambienti intellettuali».
Qual è la differenza fra l’antisemitismo di destra e quello di sinistra?
«La differenza principale non è nei contenuti, ma nell’influenza all’interno della società francese. L’antisemitismo esisteva a sinistra, anche se la maggior parte delle volte riprendeva, con mezzi molto più deboli, temi nati a destra. Facciamo un esempio: l’influenza dei socialisti utopistici era molto limitata. Anche durante il caso Dreyfus, il quotidiano cattolico “La Croix”, che si proclama “il giornale più antiebraico di Francia”, tira 500 mila copie, mentre la stampa repubblicana di sinistra e socialista raggiunge a fatica le 250 mila. La differenza di mezzi è chiara anche negli anni Trenta: molti giornali di destra e di estrema destra sono letti da centinaia di migliaia di persone e sono diffusi dalle numerose pubblicazioni di gruppi specializzati nell’antisemitismo. Certo, può capitare che l’antisemitismo di sinistra conosca un pubblico molto più vasto quando viene ripreso dall’estrema destra, come è accaduto con il revisionismo e il negazionismo, che prima di essere resi popolari da Jean-Marie Le Pen hanno toccato solo cerchie marginali. In ogni caso, venga da sinistra o da destra, l’antisemitismo va combattuto con la stessa fermezza».