Corriere 8.1.19
Combatteva l’Isis insieme ai curdi, morto il «guerrigliero» italiano
Ucciso in un incidente in Siria, è il primo caduto del nostro Paese in Siria
di Maddalena Berbenni, Marta Serafini
Ucciso «in un incidente» in Siria, è il primo caduto del nostro Paese in Siria
Geologo,
un lavoro nel settore petrolifero. Giovanni Francesco Asperti, 53 anni,
non era il primo italiano ad essersi unito alle forze curde impegnate
nel nord della Siria per combattere l’Isis e per la creazione di uno
stato autonomo. Hiwa Bosco — questo il suo nome di battaglia — però è il
primo «combattente» italiano morto.
A darne notizia ieri in un
comunicato lo Ypg, le milizie curde, che parlano «di uno sfortunato
incidente» nella zona di Derik, vicino al triangolo al confine tra la
Siria, la Turchia e l’Iraq. Il decesso, confermato dalla Farnesina che è
in contatto con la famiglia e con il consolato di Erbil nella regione
autonoma del Kurdistan iracheno, sarebbe avvenuto almeno un mese fa.
Difficile però stabilire ancora con esattezza la dinamica della morte,
se sia per il momento possibile recuperare il corpo e se Asperti avesse
lasciato indicazioni al momento dell’arruolamento, come è prassi per i
combattenti stranieri. Difficoltà che aumentano anche dato il quadro
nella regione, a pochi giorni dall’annuncio del presidente Trump sul
ritiro delle truppe Usa e a poche ore dalla visita in Israele e in
Turchia del consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, che ha
ribadito sì il disimpegno, ma che ha corretto il tiro dando garanzia che
le forze turche non attaccheranno i curdi, alleati degli americani
nella campagna contro l’Isis.
Originario di Ponteranica, alle
porte di Bergamo, sposato e padre di due figli (un ragazzino di 13 e una
ragazzina di 14 anni), Asperti era partito per il Medio Oriente alla
fine dell’estate scorsa. Una decisione presa in segreto, tanto che a
Ponteranica quasi nessuno sapeva del suo interesse per la Siria. «Vado
in Kuwait», aveva detto.
Chi era
Geologo, originario di Ponteranica, alle porte di Bergamo, era sposato e padre di due figli
Ma
dati i suoi frequenti viaggi in Medio Oriente per lavoro nessuno si era
allarmato più di tanto. In paese Asperti era noto anche per la sua
storia familiare. Al padre Piero, morto nel 2004, è dedicata la piazza
principale. Un medico condotto, ex Dc passato al Pci, che per anni aveva
collaborato con la Cgil nelle prime battaglie per la salute sui luoghi
di lavoro e che con Lucio Magri era stato tra i fondatori del Manifesto.
La madre, Vittoria Chiarante, è invece la sorella di Giuseppe
Chiarante, deputato del Pci di Berlinguer, senatore ed ex vice
presidente del Consiglio nazionale del ministero per i Beni Culturali e
Ambientali.
A piangere per la morte di Hiwa Bosco anche gli altri
italiani «combattenti» dello Ypg. «Non lo conoscevo, e ha un profilo
diverso rispetto a quello degli altri, soprattutto per l’età», spiega
Claudio Locatelli, 30enne, anche lui bergamasco e anche lui passato in
Siria per combattere l’Isis a Raqqa.
La famiglia
Suo papà Piero era stato, con Lucio Magri, tra i fondatori del «Manifesto»
Una
battaglia in cui, in questi anni, sono morti al fianco dei siriani e
dei curdi decine di giovani europei. Insieme a Locatelli sono infatti
altri 17, comprese due donne, gli italiani considerati in forza allo Ypg
(in curdo Yekîneyên Parastina Gel, ovvero Unità di Protezione
Popolare). Profili che da qualche mese sono nel mirino. Se è infatti del
gennaio 2015 il decreto con cui l’allora ministro dell’Interno Angelino
Alfano ha inteso contrastare le partenze dei foreign fighters e che
prevede fino a 10 anni di carcere per chi si auto addestra e va
all’estero a sostenere una causa, è solo dal 2018 che gli italiani
arruolati coi curdi sono stati perseguiti, pur avendo profili diversi
dai miliziani partiti per unirsi all’Isis.
Per cinque di loro,
militanti No Tav e del centro sociale Askatasuna, la pm torinese
Emanuela Pedrotta ha chiesto la sorveglianza speciale. La conferma è
attesa per il 23 gennaio.