Corriere 5.1.19
Facce nuove
Il diario in pubblico di Mahdia Hosseini
di Paolo Lepri
Dal
campo profughi di Schisto, nei pressi di Atene, Mahdia Hosseini ha
scritto a «un uomo afghano» quello che non ha mai potuto dire prima di
prendere la strada della fuga. La lettera non è stata spedita per posta,
anche perché sarebbe stato impossibile recapitarla ad un destinatario
senza nome. È diventata un articolo del giornale Migratory Birds che
quindici ragazze come lei hanno fondato nel 2017 tra le tende e i
prefabbricati in cui hanno vissuto dopo il loro arrivo in Grecia. «Nel
mio Paese — si legge — una donna non può decidere come vestirsi o chi
sposare. È proibito indicare il suo nome sugli inviti di matrimonio.
Perfino quando muore, nessuno saprà come si chiama: negli annunci
funebri il solo riferimento è al marito o ai figli».
Migratory
Birds è ormai arrivato al suo undicesimo numero e qualche mese fa ha
festeggiato il suo primo anniversario. È scritto in cinque lingue:
farsi, greco, inglese, arabo, urdu. Tutti i contributi vengono tradotti
in inglese on line. Il progetto è sostenuto dalla Ong Network for
Children’s Rights e dall’Unicef grazie ad un finanziamento della
Commissione europea. Non è più un giornale tutto al femminile perché a
collaborare sono anche molti ragazzi. «Abbiamo deciso di diventare
reporter per essere la voce dei rifugiati», ha detto Mahdia a Deutsche
Welle. Lei è la direttrice del giornale, diffuso in 13.000 copie tra i
profughi e le organizzazioni umanitarie.
La scelta compiuta a
Schisto è stata il tentativo di abbattere le «barriere» che hanno
limitato l’esistenza di questa giovane donna. In Iran, dove ha vissuto
dopo aver lasciato l’Afghanistan, ricorda di aver combattuto «una
battaglia permanente, psicologica e intellettuale». La sua storia —
legata alla doppia emergenza di cui sono vittime i «dannati della
terra», tra oppressione e accoglimento — è anche una storia di
maturazione personale. Lo capiamo scorrendo un altro testo, A new
personality, in cui osserva che la vita nel campo le ha fatto
dimenticare la parola «voglio». Ma le barriere si possono rialzare.
L’estate scorsa è stata mandata via, «perché afghana», quando si è
offerta di donare il sangue per le persone coinvolte negli incendi che
hanno devastato la Grecia. «Uscendo dall’ospedale — racconta — quelle
fiamme mi bruciavano nelle vene».