Corriere 5.1.19
Dalle chiese di provincia agli scheletri di Bergamo
Daverio guida un «grand tour» nel Museo Italia
di Roberta Scorranese
Lo
sapevate che a Milano c’è una chiesa con un affresco che raffigura una
Madonna con le corna? E che a Bergamo, dietro l’altare di una
apparentemente anonima chiesetta, ci sono dei dipinti che rappresentano
scheletri vestiti da frati e coppie borghesi?
Il museo più bello
d’Italia è l’Italia stessa, ci dice Philippe Daverio che ha da poco
pubblicato uno dei suoi libri più belli, Grand Tour d’Italia — A piccoli
passi (Rizzoli): non tanto una semplice «passeggiata d’autore» tra
palazzi, musei, borghi d’arte e opere preziose, quanto un invito
(nobile) a un sentimento raro e colto, cioè la maraviglia. Nella sua
accezione cartesiana è quello stupore che ci fa perdere in una cosa, in
una persona, in un’idea, mossi da uno stupore infantile e per questo
divertito, un po’ come il temperamento dello storico dell’arte
franco-milanese, le cui inflessioni nel parlato sono un involontario
omaggio al sincretismo di Napoleone.
Bulimico di curiosità,
ricchissimo di conoscenze culturali, eclettico nella preparazione,
Daverio ha un segreto: il suo inesauribile divertimento nel discettare
di certe cose. Della Certosa di Padula come della calata dei francesi in
Italia (una delle tante), della Basilica di Sant’Eustorgio di Milano
(quella con la Madonna con le corna, simbologia che allude all’inganno
diabolico) come del «tagliatissimo gusto gotico» degli Angioini che si
rintraccia a Sulmona. Partendo sempre dalla provincia, dal marginale,
dall’inatteso, dalla sorpresa: chiave questa che ha guidato non solo le
sue note trasmissioni televisive ma anche un suo libro meno conosciuto,
L’arte di guardare l’arte, cioè un punto di vista spiazzante su pittura,
architettura, scultura.
E in questo Grand Tour c’è il Daverio che
ameranno tutti quelli che lo seguono da anni, nelle conferenze
pubbliche fino agli itinerari televisivi e nelle sue collaborazioni con
quotidiani come il nostro. Da dove cominciare? Bella domanda, perché non
c’è un «centro», bensì una multipolarità di luoghi e di visioni che il
bello, alla fine, risulta proprio perdersi. L’abbazia di Chiaravalle con
i suoi scaloni affrescati, il «pezzo di gotico francese» che la storia
(e la strategia dei Savoia) ha depositato nella piccola Saluzzo, la
Biblioteca Malatestiana di Cesena con tanto di aneddoto (è stata voluta
da Novello Malatesta, fratello del più famoso Sigismondo ma meno
litigioso), la meravigliosa cupola della Sagrestia di San Marco nella
Basilica di Loreto, con affreschi di Melozzo da Forlì, emblema di quella
contaminazione tra le Marche e l’Emilia Romagna che si sente nei borghi
assolati, nei lungomare luccicanti al tramonto. Daverio snoda e
riannoda fili: Duccio di Buoninsegna, per esempio, del quale la Maestà
senese è l’opera chiave, è stato uno che nel Duecento unì la latinità
con la tensione del mondo del Nord. Carlo Borromeo, che prima di
diventare santo è stato legato cardinale a Bologna e che qui ha lasciato
un’opera straordinaria come l’Archiginnasio. Qui, nel Teatro anatomico,
si sezionavano cadaveri e sarà a questo punto che il lettore curioso,
quello maravigliato non si fermerà e andrà oltre, magari da solo: perché
la prossima volta non andare a visitare il Museo delle cere anatomiche
di Clemente Susini a Cagliari? E perché non fare un confronto tra il
Teatro anatomico bolognese e quello di Padova, il più antico al mondo,
voluto da Girolamo Fabrici d’Acquapendente nel 1594? Non fermiamoci: il
pensiero corre all’opera più famosa in questo versante, cioè Lezione di
anatomia del dottor Tulp di Rembrandt. E perché non acquistare gli
scritti di Gottfried Benn, Morgue e altre poesie?
Ecco la
curiosità che stimola Daverio con i suoi libri: una meditata incapacità
di restare a casa, anche d’inverno, anche con la neve.