giovedì 3 gennaio 2019

Corriere 3.1.19
La Storia
La fuga del generale Chiang Kai-shek da Mao e i rapporti commerciali costruiti negli anni
di G. Sant.


Dicembre 1949, il generalissimo Chiang Kai-shek, sconfitto dall’esercito di Mao Zedong nella guerra civile si rifugia nell’isola di Taiwan con i resti delle sue forze nazionaliste. Per il Partito comunista che governa Pechino comincia la «Questione taiwanese»: si tratta di ricondurre la provincia sotto il controllo della Madrepatria. Per Pechino si tratta di «tong yi», riunificazione. A Taipei non sono d’accordo nemmeno sul significato di «tong yi»: per loro, questa ipotesi infausta, sarebbe «unificazione», perché in realtà il governo comunista non ha mai guidato l’isola, che dal 1895 e fino al 1945 era stata sotto il controllo degli invasori giapponesi. Per anni, dopo il 1949, l’artiglieria cinese ha battuto gli avamposti dei nazionalisti taiwanesi con il suo fuoco. Taipei è rimasta irraggiungibile, anche grazie all’ombrello politico-militare aperto dagli Stati Uniti. Con il grande disgelo concordato tra Nixon e Mao, Washington accettò il principio «Una Cina» che nega l’indipendenza a Taiwan. Con il «Messaggio ai compatrioti taiwanesi» del 1979 Pechino rinunciò allo scontro militare proponendo di aprire le comunicazioni tra le due parti. Negli ultimi 40 anni le relazioni sono migliorate, il 30 per cento dell’export di Taiwan oggi va in Cina. Il governo democratico di Taipei si aggrappa allo status quo. Ma la «Questione taiwanese» per Pechino è ancora aperta.