Corriere 3.1.19
Oggi in edicola la biografia del grande condottiero corso scritta da Luigi Mascilli Migliorini
L’antico spettro del bonapartismo
Genio militare e uomo d’azione, creò un regime autoritario di tipo nuovo
La sua legittimità si fondava sull’investitura plebiscitaria della nazione
Perché Napoleone rimane attuale
Nel 1799 L’avvento al potere del generale portò alla caduta del sistema parlamentare
La lezione Per quanto un capo sia dotato, non bisogna mai affidargli del tutto il destino di un Paese
di Vittorio Criscuolo
Nei
Mémoires d’outre-tombe (1848) Chateaubriand prendeva atto amaramente
del trionfo della leggenda napoleonica: «Il mondo appartiene a
Bonaparte; (…) da vivo ha mancato il mondo, da morto lo possiede. (…)
Dopo aver subito il dispotismo della sua persona, ci tocca subire il
dispotismo della sua memoria». Al di là dello straordinario fascino del
mito, che faceva scrivere a Victor Hugo: «Tu domini la nostra età,
angelo o demonio che importa?», colpisce la capacità dell’esperienza
napoleonica di riproporsi puntualmente, al succedersi delle generazioni,
come una fonte di riflessioni e di suggestioni vive e attuali. Lo
conferma, nella prefazione del suo bel libro in edicola oggi con il
«Corriere», Luigi Mascilli Migliorini, allorché osserva che le domande
che ispirano la sua ricerca, pur essendo in fondo le stesse che
quell’età e il suo protagonista già fecero a se stessi, risultano nuove
proprio perché corrispondono ai problemi, alle aspirazioni, alla
sensibilità del tempo presente. Ci si può chiedere allora perché
continuare oggi a interrogare quel mondo lontano: quali spunti di
riflessione, se non proprio quali risposte, esso può proporci rispetto
alla realtà in cui viviamo?
In un momento storico caratterizzato
da una profonda crisi della democrazia rappresentativa, la
considerazione della politica napoleonica, grazie alla lucida analisi di
Mascilli Migliorini, può rappresentare un utile punto di riferimento
per un dibattito politico nel quale non manca qualche richiamo, per lo
più improprio e approssimativo, al bonapartismo, ma che appare
appiattito su un uso indiscriminato e confuso del concetto di populismo.
Naturalmente non si devono cercare nel regime napoleonico una
organicità e una coerenza che non poteva avere: nato dalla rivoluzione e
dalle vittorie militari, esso fu condannato ad inseguire una normalità
che la sua stessa natura gli precludeva. Napoleone, uomo d’azione,
fondava le proprie scelte sulla lezione dei fatti e solo successivamente
amava evocare precedenti storici (Cesare, Carlo Magno) o aspetti del
pensiero politico che potessero giustificarle o legittimarle. La
categoria del cesarismo-bonapartismo fu il frutto di un’elaborazione a
posteriori, che sistemò in un modello teorico le principali linee della
sua politica.
Tema centrale del bonapartismo è il superamento
della democrazia rappresentativa, la principale conquista politica della
rivoluzione, e la sua sostituzione con una investitura dal basso
attraverso il plebiscito. Quest’ultimo assume la tipica forma del
pronunciamento popolare su un uomo che si pone di fatto come
incarnazione degli interessi e delle aspirazioni della nazione. Il
regime bonapartista si distingue perciò dagli altri regimi autoritari
perché fonda la propria legittimità sul trasferimento di sovranità
realizzato attraverso il plebiscito. Di qui l’intrinseca ambiguità del
modello, che coniuga una matrice democratica, per altro sterilizzata e
di fatto vanificata, e un potere che regola dall’alto la realtà sociale;
questo giustifica le oscillazioni di un regime destinato a cercare un
difficile equilibrio fra due istanze antinomiche e spiega anche le
diverse configurazioni delle esperienze storiche che a quell’esempio si
sono in vario modo, più o meno consapevolmente, richiamate o
ricollegate. Corollari essenziali del modello sono ovviamente il
fastidio per le lentezze e gli impacci delle discussioni parlamentari e
la sostituzione dell’elezione popolare con la cooptazione.
In
generale lo storico deve proporre con molta prudenza accostamenti fra
età diverse, che riescono più suggestivi che utili sul piano della
comprensione. Tuttavia appare evidente l’assonanza fra molti aspetti del
dibattito politico contemporaneo e alcuni motivi centrali del
bonapartismo, un tema sul quale utili riflessioni ha svolto, fra gli
altri, Alessandro Campi nel libro L’ombra lunga di Napoleone. Da
Mussolini a Berlusconi (Marsilio, 2007).
Basterà citare la
tendenza a concepire l’elezione come una delega di sovranità che deve
prevalere su ogni altra istituzione o corpo intermedio (magistratura o
organi di garanzia), l’idea di un’assoluta preminenza del potere
esecutivo in quanto legittimato dalla volontà popolare, la sistematica
manipolazione dell’opinione pubblica, l’instaurazione di un rapporto
diretto fra il leader e le masse. Di fronte a questi orientamenti, che
riconducono al clima cupo dell’Europa fra le due guerre mondiali, vale
la pena di ricordare le parole con le quali Adolphe Thiers, che pure
aveva ammirato Napoleone come uomo «grande e fatale», volle chiudere la
sua Histoire du Consulat et de l’Empire (1845-1862): «Come cittadini
traiamo dalla sua vita un’ultima e memorabile lezione, ed è che, per
quanto grande, sensato, vasto sia il genio di un uomo, non si deve mai
affidargli completamente il destino di un Paese».
Lo storico
francese esprimeva così una trasparente presa di distanza dal Secondo
Impero di Napoleone III, ma lanciava al contempo un monito del quale è
difficile non cogliere, ancora oggi, la stringente attualità.