Corriere 31.1.19
La doppia fuga di Najla (con l’abito da sposa)
«Avevo
sentito parlare delle ragazze yazide al telegiornale e ne incontrai
alcune a Dohuk, in Iraq, dopo che erano state rilasciate dall’Isis. La
maggior parte di loro non riusciva a parlare, a causa dei profondi
traumi subiti. Forse non si riprenderanno mai dall’orrore che hanno
vissuto. Eppure, una di loro era piena di speranza». Malala sta
raccontando la storia di Najla Hussein Mahmaad, una giovane che a soli
14 anni è scappata dalla zona di Sinjar con indosso ancora il suo
vestito da sposa perché il suo sogno era studiare per diventare una
giornalista. Dopo l’arrivo dei jihadisti nella sua regione, la ragazza
trova rifugio in un campo profughi a Shariya, con altri 18 mila
sfollati. All’epoca ha 21 anni, troppo «vecchia» per frequentare la
scuola del campo. Ma non può nemmeno iscriversi a Mosul, a causa del
tragitto troppo lungo e dei pericoli che ancora la città nord irachena
riserva alle donne, soprattutto a quelle che, come lei, appartengono a
una minoranza religiosa. Najla oggi vive ancora in quel campo, con sua
sorella. Ogni tanto si fa le mèches colorate ai capelli. A casa non può
tornare a causa delle mine e sogna di potersi iscrivere in un college
all’estero. Nel frattempo, con la sorella, progetta di aprire un salone
di parrucchiera dentro al campo.