Corriere 31.1.19
Un anno fa la morte di Pamela Mastropietro
Le periferie, i migranti e il bisogno di sicurezza
di Goffredo Buccini
E’
un anno in questi giorni. L’Italia ha girato una pagina della sua
storia fra il 30 gennaio e il 3 febbraio 2018: tra la morte della
diciottenne Pamela Mastropietro e il raid razzista di Luca Traini, che
pensò di vendicarla sparando a casaccio contro sei migranti nelle strade
di Macerata. Solo a freddo, però, è possibile capire quanto, con quella
pagina, sia stato spazzato via del lessico politico e popolare degli
italiani, di equilibri e limiti consolidati in settant’anni della nostra
vicenda repubblicana.
Per prima è caduta un’illusione: il mito
(un po’ fasullo) degli «italiani brava gente», rimpiazzato con la realtà
degli «italiani incattiviti» di cui parla il Censis. Pochi l’avevano
capito: il consenso trasversale a Traini svelò un Paese negletto nel
quale analisti e centrosinistra a trazione Pd derubricavano in
«percezioni» (magari gonfiate ad arte) questa ostilità montante. Il
giorno dopo la scorribanda del killer suprematista, con sei ragazzi neri
feriti in ospedale, raccogliemmo la frase di un bottegaio del centro di
Macerata che, nella sua feroce ingenuità, rendeva come pochi il
sentimento popolare: «Ce l’ho un po’ con quel ragazzo! E che, se spara
così? Poteva piglia’ qualcuno!».
Non vedevamo che, persino in una
provincia come Macerata, gli effetti di un’accoglienza fallimentare
stavano consegnando pezzi di città a disperati fuorusciti dagli Sprar
come Innocent Oseghale (ora a processo per l’assassinio di Pamela) e
agli spacciatori nigeriani che dominavano i Giardini Diaz. Molte
periferie delle città metropolitane stavano ben peggio: la paura non era
un’invenzione della destra sovranista.
Così il 2018 è stato
l’anno che ha sancito il divorzio della sinistra dalla sua vecchia base
elettorale (la separazione era già in atto da molto tempo) e il suo
radicamento elettorale — simile a una ridotta — nei quartieri della
borghesia agiata: tendenza planetaria, che in Italia stiamo
interpretando in modo del tutto originale avendo al governo
contemporaneamente due forze populiste spesso con idee contrastanti. È
stato l’anno del tiro sui migranti (letteralmente: mai così tanti gli
episodi di violenza su chi ha la pelle scura, con l’omicidio del giovane
sindacalista Soumaila Sacko in cima alla lista). Ma è stato anche
l’anno dell’omicidio in fotocopia di Desirée Mariottini, a ottobre, nel
quartiere romano di San Lorenzo: così simile a quello di Pamela
Mastropietro da mostrare come i ghetti urbani possano aprirsi anche in
quartieri centrali che presumevamo gentrificati e quanto la questione
dei clandestini (erano tutti irregolari in Italia gli aguzzini della
ragazzina) continui a produrre errori ed orrori: ai seicentomila
invisibili in giro se ne aggiungeranno 130 mila nei prossimi due anni
secondo l’Ispi, quasi un’eterogenesi dei fini nella legge Salvini sulla
sicurezza.
È stato naturalmente l’anno di Matteo Salvini, che ha
incarnato il disagio di quell’Italia e ne ha tratto massimo consenso,
rovesciando i rapporti di forza con Berlusconi anche (o forse proprio)
per paradossale effetto dei fatti di Macerata (Traini era stato
candidato leghista alle comunali 2017 nel vicino paese di Corridonia).
Uomo forte del governo gialloverde, Salvini è ora inseguito da problemi
non risolvibili con uno slogan: gli stessi che hanno flagellato il
centrosinistra. I rimpatri presuppongono vaste operazioni di polizia e
poi accordi internazionali, i nuovi e più ampi Cie (ora Cpr) implicano
l’intesa con gli enti locali, il rischio di buttare per strada torme di
sbandati è sotto i nostri occhi.
E tuttavia l’anno incattivito di
Pamela e Desirée ci dimostra che non sarà possibile tornare a parlare di
solidarietà agli italiani senza massicce iniezioni di sicurezza. E di
quattrini. Le periferie hanno bisogno di soldi e in questo senso aver
sottratto loro un miliardo e 600 milioni del vecchio bando voluto da
Gentiloni congelandoli per tre anni (traduzione: sine die) appare
un’idea contraddittoria per un governo che nelle periferie ha la sua
constituency.
Viene in mente Michel Rocard e il suo «discorso del
pianerottolo» del 1988. Sentendo il malessere sociale che montava in
Francia e prevedendo la rivolta delle banlieue, da premier socialista
immaginò di ripartire dal porta a porta: piccole riparazioni fisiche e
sociali, la cassetta delle lettere rotta, la lampadina sul pianerottolo
fulminata, sognando una Francia in cui la gente tornasse a parlare al
proprio vicino. Lo presero in giro: signor primo ministro, non sogni,
governi... Molti anni dopo, e in una situazione di disordine globale,
quel sogno sembra una lezione di realismo.