mercoledì 30 gennaio 2019

Corriere 30.1.19
L’estratto
Una guerra civile a bassa intensità
I fatti di Macerata hanno illuminato la frattura profonda nella convivenza
di Goffredo Buccini


I dimenticati sono diventati di moda. In gran parte dell’Occidente, dagli Stati Uniti di Trump alla Gran Bretagna della Brexit. Da noi, dopo decenni di oblio e solitudine, zero investimenti e la sciagurata tendenza di tutti i governanti a scaricare nei loro quartieri gli scarti delle città, gli italiani disagiati ed esclusi dalle Ztl della borghesia illuminata stanno superando l’irrilevanza cui sembravano condannati in eterno: grazie, se si può dire, alla loro rabbia, al rancore compatto che li rende massa elettorale appetibile per quanto volubile nelle opzioni.
Lo scontro sociale, culturale e a tratti etnico in atto da anni nelle nostre strade e nelle nostre piazze, pur iscrivendosi dentro un cortocircuito globale, ha però peculiarità e responsabilità che questo libro si propone di identificare. Si combatte una guerra civile a bassa intensità in vaste aree del territorio nazionale sulle quali lo Stato sembra non avere più alcun controllo: ghetti urbani dove tutto può succedere.
Gli eredi del popolo dei borghetti e delle baracche del dopoguerra non hanno fatto in tempo a salire due o tre piani dell’ascensore sociale per ripiombare in una disperazione più profonda di quella dei loro nonni, stavolta con la scomoda compagnia di nuovi ultimi venuti da molto lontano, con altri costumi e spesso un’altra religione. In queste trincee metropolitane, che passano attraverso casermoni da cinquemila residenti o vicoli dei centri storici ridotti a letamaio di siringhe e immondizia, le criminalità organizzate autoctone hanno stretto patti con le nuove mafie straniere. Ma gli altri, i più, spaventati e impoveriti, hanno identificato negli immigrati semplicemente il nemico con cui scontrarsi: per una casa, un lavoro, un posto a sedere sul bus. Chi ne ha cavalcato il malessere non se n’era mai occupato, prima: l’occasione, imperdibile per i voti che porta, è un’ennesima integrazione per separazione, «noi» uniti contro di «loro», come sempre nella storia.
Non siamo razzisti. «Italiani brava gente» era un mito furbastro e consolatorio: in realtà non siamo peggiori (né migliori) di qualsiasi altra comunità sottoposta a forti sollecitazioni negative. Ma i fatti di Macerata di fine gennaio e inizio febbraio 2018 (l’omicidio della giovane romana Pamela Mastropietro e il raid di «rappresaglia» del razzista Luca Traini) hanno illuminato i contorni di una frattura profonda e troppo a lungo ignorata nel nostro modello di convivenza. Nove mesi dopo, un orribile delitto quasi in fotocopia (vittima la sedicenne Desirée Mariottini, drogata, violentata e uccisa in un palazzo del quartiere romano San Lorenzo a lungo abbandonato nelle mani di spacciatori africani) ci ha ricordato che nulla è cambiato nel frattempo.
Noi invece, sì, siamo cambiati: molto.