Corriere 29.1.19
Nel Veneto esotico di Shakespeare, terra di commerci, veleni e civiltà
Il saggio di Sergio Perosa (Cierre) su Venezia e altre città cantate dall’autore inglese. Che non le vide mai
di Pierluigi Panza
Il
Veneto di Shakespeare, titolo del nuovo libro dell’anglista di fama
internazionale Sergio Perosa (Cierre edizioni, con illustrazioni tratte
da Cesare Vecellio), è un Veneto evocativo, non di luoghi topografici,
ma di atmosfere quasi esotiche. William Shakespeare (1564-1616) non
viaggiò mai in Italia, dove ambienta cinque suoi drammi. Apprese la
conoscenza delle nostre città dai resoconti di altri scrittori, che
decantavano lo stivale come il «Giardino d’Europa», dall’aria salubre e
dai modi — specie a Venezia — piuttosto libertini, nonostante la
presenza del papato.
Le città venete che più si affacciano tra le
sue opere, racconta Perosa (che aveva pubblicato un omonimo libro per
Bulzoni nel 2002), sono Venezia, Verona e Padova.
L’orientale
Venezia, crocevia dei commerci e di tutte le genti — mori, schiavoni,
tedeschi e levantini — è la capitale dei piaceri. È una città-porto, in
questo simile a Londra, dove trovi ovunque locali in cui bere e
discutere di commerci marittimi. Mai conquistata, è una porta verso
l’Oriente, città tollerante, luogo di convivenza ma, soprattutto, di
teatro. Shakespeare guarda al Veneto come palcoscenico all’aperto.
Il
Mercante di Venezia e Otello sono pervasi di venezianità, città che
emerge dalla laguna permeata di spirito mercantile. Il cuore di Venezia è
l’area intorno a Rialto. Qui, all’ombra delle logge e nei fondaci, si
tengono assemblee, si snodano affari e si svolgono scambi borsistici.
Qui, chi non crede negli stessi valori crede nel denaro come mezzo
unificante più delle religioni e degli imperi. Anche se per i cristiani è
«sterco del diavolo», il latino denarius e il musulmano dinar sono la
base del primo impero globale. E Venezia, primo impero galleggiante, è
la patria delle transizioni finanziarie.
Ne Il Mercante di Venezia
la città diventa anche simbolo della giustizia, che afferma la
preminenza della Legge, attraverso il doge, sul potere politico cogente e
sulla spregiudicatezza finanziaria. In Otello, a dominare è la Venezia
Regina dei mari, quella dell’Arsenale, che apre fondaci lungo le coste
mediterranee e issa il simbolo del leone di San Marco sino a Cipro.
Venezia si sovrappone a Desdemona, senza la quale non sarebbe possibile
né grandezza né miseria, né nobiltà né rovina.
In Shakespeare,
Venezia è autonoma rispetto alla terraferma (non serve il referendum per
provarlo). La terraferma è altro, qualcosa da raggiungere o da dove si
proviene. Nell’opera del bardo ci sono riferimenti agli spostamenti su
barche e burchielli da Padova a Venezia, sino a Fusina, con rimandi a
ponti e attracchi piuttosto generici. È vero che Jacopo de’ Barbari
aveva già inciso la sua portentosa mappa della città (al Museo Correr),
ma questa è senza nomi e poco dice della laguna. Sulla terraferma,
Shakespeare colloca le ville e il luogo dove avviene la spoliazione
dell’ebreo Shylock.
«Fuor delle mura di Verona non c’è mondo, / ma
purgatorio, tortura, inferno…»: il passo è ancora sigillato (in
differente traduzione) nelle mura che immettono in piazza Bra. Ma
Shakespeare non la vedeva in maniera così tragica come Romeo! In
Giulietta e Romeo Verona è anche una città vivace, quasi del Sud,
dominata dalla presenza cattolica. Attraverso i buffoni Shakespeare
invita spesso a ridere dei drammi che si compiono. E in I due
gentiluomini di Verona l’ambientazione oscilla tra Verona e Milano; per
Shakespeare c’era vita anche altrove.
In La bisbetica domata
Padova è una città di approdo: ci si arriva la mattina per mare e fiume.
«To see fair Padua, nursery of arts, I am arriv’d for fruitful
Lombardy, The pleasant garden of fair Italy», scrive il bardo. La
Lombardia è già industriosa, Padova è colta, città di dottori e avvocati
con un’antichissima università. Qui è evidente la contrapposizione tra
città e campagna.
A partire dalle sue consolidate basi
filologiche, Perosa ci fa visitare il Veneto guidati da Shakespeare e
non si sa «se ammirare di più la precisione di certi riferimenti o il
fascino delle atmosfere evocate». In definitiva, nel bardo operava la
visione divisa che la cultura elisabettiana aveva dell’Italia, «luogo di
tradimenti, di veleni e complotti, di corruzione e delitti», come
sperimentavano già allora i giovani inesperti in cerca di avventure del
Gran Tour e come nel dramma Volpone or the fox di Ben Jonson, ma anche
di sfarzo, «splendido paesaggio naturale, culla della civiltà e della
raffinatezza, laboratorio delle arti, sede dell’esplosione culturale del
Rinascimento».