Corriere 27.1.19
«Da ventidue anni poso pietre d’inciampo per ricordare la Shoah»
dal nostro corrispondente Paolo Valentino
L’artista tedesco Demnig: ne ho realizzate 71mila
BERLINO
Gunter Demnig dedicherà all’Italia l’intera Giornata della Memoria e
quelle immediatamente successive. Oggi sarà a Brescia e Lecco per posare
sul selciato stradale nuove pietre d’inciampo, ognuna con inciso il
nome di una vittima del nazismo. Lunedì a Chioggia, Ronchi, Superga del
Lago e Gorizia. Martedì a Trieste. L’artista tedesco continua il
grandioso progetto iniziato nel 1996 e diventato ormai parte integrante
della sua vita, quasi un lavoro a tempo pieno in nome del ricordo e del
risarcimento morale.
A 71 anni, Demnig ha un calendario
affollatissimo, almeno 200 giorni l’anno è in giro per l’Europa, dove
incontra studenti, amministratori locali, parenti delle vittime per
concordare nuove cerimonie di posa. Le sue pietre, coperte da una lamina
d’ottone, sono richieste in tutti i Paesi del Continente e nonostante
lui continui a incastonarle personalmente, da qualche anno un team lo
affianca nell’impresa.
Cos’ha imparato in questi 22 anni, da quando ha iniziato a disseminare pietre d’inciampo per le città d’Europa?
«Ho
imparato che un nome è tutto quello che ci resta per ricordare. È quasi
incredibile che dopo tutto questo tempo e quasi 71 mila pietre, ogni
volta che ne mettiamo una è come la prima volta, la stessa commozione,
lo stesso smarrimento per come tutto questo sia potuto accadere».
Ha incastonato le «formelle della memoria» in 24 Paesi. È stato il benvenuto sempre e dappertutto?
«Naturalmente
no. Ma ho avuto in tutto tre minacce di morte, in fondo poche in
vent’anni. Posso capire che non a tutti piaccia l’iniziativa. A molti
per la semplice ragione che le pietre di fronte a casa loro ricordano a
chi è appartenuta prima. Ma questa è la Storia, tedesca ed europea.
L’idea originaria era che ovunque in Germania e in Europa la Wehrmacht
tedesca e le SS abbiano ucciso o deportato persone, ebrei, sinti, rom,
disabili, attivisti politici, omosessuali, lì volevo posare un certo
numero di simboliche pietre del ricordo, ognuna con un nome. Il lavoro
più lungo è stato quello che viene prima, la ricerca delle storie
personali. Oggi è più facile, perché i familiari delle vittime vengono a
raccontarcele da ogni parte d’Europa e del mondo: una famiglia ebraica è
venuta dalla Tasmania fino a Colonia. Ci sono famiglie i cui membri si
incontrano al momento della posa provenienti da 5 Paesi e tre continenti
e non si sono mai visti prima. All’inizio pensavo che sarebbe stato già
straordinario se fossi arrivato a mille nomi, mille storie da
tramandare. È diventata l’impresa di una vita».
Ne è soddisfatto?
«Per
la natura di questo progetto è difficile dire che sono soddisfatto, non
c’è nulla di cui gioire: 71 mila pietre sono 71 mila di troppo».
Parlando
delle critiche, una ricorrente è che le pietre d’inciampo siano una
forma impropria per ricordare, perché in tal modo le vittime vengono
calpestate ancora una volta: a Monaco per esempio le hanno rifiutate
preferendo stele e targhe murarie.
«È un argomento falso, chi lo
usa farebbe prima ad ammettere che non le vuole. Nelle chiese
cattoliche, dove una volta venivano seppellite le persone, ancora oggi
si cammina sulle tombe ed è un modo di onorare quei defunti. Quanto ai
nazisti, non si sono accontentati di calpestare le loro vittime ma hanno
messo a punto un programma mirato di morte e sterminio. E comunque chi
cammina sulle pietre d’ottone le rende più lucide, rendendo più chiaro
il ricordo di chi venne assassinato o deportato».
L’antisemitismo è in crescita in Germania, come dicono preoccupati molti leder della comunità ebraica?
«Forse
è in aumento. Ma non deve impaurirci. Occorre vigilare e stare attenti,
anche all’uso subdolo di un certo vocabolario che rimanda ai nazisti.
Quando sento alcuni personaggi di AfD affermare che il nazismo è stato
una “cacca d’uccello” sulla grande storia della Germania, allora bisogna
dire: ora basta».
Oggi è il Giorno della Memoria, come definirebbe il suo contributo?
«Cerco di far rivivere i nomi. Lo dice il Talmud: una persona viene dimenticata soltanto quando viene dimenticato il suo nome».