Corriere 26.1.19
Pregiudizi ben radicati agevolarono il genocidio
Spesso le popolazioni dei Paesi occupati collaborarono all’opera persecutoria sia pure con alcune importanti eccezioni
Terribili stragi erano già avvenute in passato ma il rancore antisemita moltiplicò la violenza
di Paolo Salom
Occuparsi
della Shoah significa, oggi, aver accesso a migliaia di saggi,
documenti, testimonianze. Un corpus storico immenso e ben definito che
ha resistito persino all’attacco dei negazionisti, confinati dalla forza
indiscutibile dei fatti al ruolo di mere comparse dello spaventoso
Zeitgeist (lo spirito del tempo) che settanta e più anni fa ha
consentito l’inverarsi della distruzione degli ebrei d’Europa. In altre
parole, la cancellazione di una civiltà millenaria attraverso il
massacro ideato, programmato ed eseguito di ogni suo singolo componente,
senza eccezioni se non date da casualità o corruzione.
Sappiamo
tutto sul come e sul quando, molto è stato scritto sul perché e forse
quest’ultimo è l’unico punto su cui le risposte si accumulano senza mai
portare a un esito accettabile in ogni sua parte: dunque, definitivo. Da
qui la necessità di continuare a indagare, esaminare nuovi documenti,
confrontare lo sterminio degli ebrei con altri episodi della storia che,
messi in un unico contesto, hanno davvero la capacità di far vacillare
la fiducia nella sostanziale rettitudine dell’esperienza umana. Certo,
la crescita di violenza legata allo sviluppo industriale della prima
metà dell’Ottocento, fino all’apoteosi della Soluzione finale, ci
riporta una predisposizione «naturale» cui potremmo attribuire, con una
certa distanza scientifica, le ragioni di episodi che hanno portato alla
morte di uomini, donne e bambini senza alcuna apparente logica o
necessità.
Per chiarire, è possibile spiegare con una
«incompatibilità» culturale — e quindi l’impossibile convivenza — il
massacro dei nativi americani durante l’espansione dei coloni americani
verso Ovest nel XIX secolo? La logica in quel caso era la «sostituzione»
di un popolo con un altro. Per quanto spietato (ferino), l’uomo ha
agito spesso così nei secoli. Ovunque. Poi però, se analizziamo le
guerre anglo-boere in Sudafrica, o l’espansione guglielmina nell’Africa
del Sud-Ovest (poi Namibia), scopriamo i primi esempi di campi di
concentramento (l’ideazione appartiene agli spagnoli durante la
ribellione cubana, anni Novanta dell’Ottocento) dove rinchiudere in
condizioni inumane migliaia di civili neerlandesi e così tagliare i
rifornimenti di uomini e mezzi ai ribelli (la Gran Bretagna in
Sudafrica); e i primi massacri genocidari di indigeni «di razza
inferiore» per far posto a inesistenti coloni «bianchi» attesi quanto
Godot dall’Europa centrale (il Reich in Africa del Sud-Ovest).
Altre
uccisioni di massa seguiranno. Pochi lustri e l’Europa tutta si
ritroverà impegnata nell’«inutile strage». Soldati, in primo luogo, che
porranno fine alla vita di altri soldati. Ma che getteranno i semi per
massacri laterali che entreranno nella storia come il primo esempio di
genocidio: quello degli armeni (1915). Tra tutti, è forse il caso che
più si avvicina alla Shoah: un popolo che conviveva da secoli con i
turchi viene preso di mira perché rappresenta un «pericolo».
Un’incursione di soldati turchi in un villaggio (Van) armeno, che osa
difendersi, apre la strada all’omicidio seriale dell’intera classe
dirigente della comunità e all’ordine di deportazione di tutti gli
altri. Risultato: centinaia di migliaia di morti.
Ora, se questi
sono i precedenti, perché stupirsi dell’esito della successiva guerra
mondiale? Perché il massacro di sei milioni di ebrei va esaminato in
quanto tale e non — questo è l’aspetto cruciale cui appare difficile
dare risposta — come la conseguenza di una «naturale predisposizione»
alla violenza di massa in certe circostanze?
Punto primo. Gli
ebrei sono stati presi di mira dai nazifascisti, ovunque si trovassero a
dominare, senza trovare resistenza da parte delle autorità o delle
popolazioni locali (eccezioni degne di nota: Danimarca e Bulgaria),
spesso invece beneficiando del loro zelante aiuto nella carneficina:
segno che esisteva una comune idea di «alterità perniciosa» dei
cittadini ebrei. Questo sentimento millenario è definito con la parola
antisemitismo ed è capace di sussistere anche in assenza di ebrei.
Punto
secondo. Eliminare gli ebrei non è mai stato suggerito dalle necessità
della guerra (vere o presunte), al contrario lo sforzo impiegato
nell’industria dello sterminio, mai interrotto, ha probabilmente
accelerato la fine della Germania. Dunque restiamo con la nostra
domanda: perché? Solo continuando a scavare nella coscienza profonda
dell’Occidente si può sperare di trovare, finalmente, un percorso capace
di rischiarare la notte dell’umanità.