sabato 26 gennaio 2019

Corriere 26.1.19
Indagine sul male
Come e perché si arrivò alla Shoah
di Antonio Ferrari


La collana
In edicola oggi con il quotidiano il primo volume della ricostruzione dedicata allo sterminio degli ebrei nel corso della Seconda guerra mondiale.Una vicenda mostruosa e complessa, dalle origini antiche: la ferocia inaudita degli aguzzini, il coraggio di chi si oppose, i meccanismi infernali dell’Olocausto

La Shoah (parola ebraica che significa catastrofe) è certamente l’evento più complesso e mostruoso avvenuto nel secolo scorso. Complesso perché sui dettagli delle cause scatenanti gli storici stanno ancora studiando e discutendo: un lavoro che produce opere di grande rigore scientifico come quella da oggi in edicola con il «Corriere». Mostruoso nella sua unicità storica: cioè la pianificazione, l’organizzazione e l’esecuzione del genocidio di una parte della razza umana, senza colpe specifiche, se non quella d’essere ebraica. Quasi sei milioni di morti, con l’obiettivo dichiarato di cancellare dall’Europa tutti gli israeliti.
Di questo feroce sterminio di massa si è saputo quasi tutto dopo la fine della Seconda guerra mondiale, alla scoperta dei campi della morte nazisti che si trovavano soprattutto nella Polonia occupata dalle truppe del Terzo Reich. Ma i grandi numeri della barbarie non bastano per descrivere l’orrore della somma infinita di tanti drammi individuali che i pochi superstiti per anni non hanno osato raccontare. Per almeno due motivi: il timore di non essere creduti, come ha raccontato più volte la senatrice a vita Liliana Segre; il desiderio di rimuovere quella tremenda parentesi per potersi ricostruire una vita, tentando di seppellire i mostruosi fantasmi del passato.
La filosofa, storica e scrittrice Hannah Arendt, ebrea tedesca naturalizzata statunitense, nel suo celebre e discusso libro La banalità del male — scritto a commento del processo al criminale nazista Adolf Eichmann — sostiene che «il male non è radicale ma solo estremo», e che non possiede «né la profondità né una dimensione demoniaca». Infatti, «esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie, come un fungo. Soltanto il bene, invece, ha profondità e può essere “integrale”».
Analisi attenta, che spiega la genesi dei mostruosi meccanismi che si realizzano e si moltiplicano per la rabbia collettiva dopo una grave umiliazione, un’ingiustizia, un tradimento. Numerosi storici spiegano l’impetuosa ascesa dell’antisemitismo, nella Germania umiliata alla fine della Prima guerra mondiale, con la disperata caccia a un colpevole, a un «capro espiatorio». Che la propaganda urlata e insistita, diffusa ossessivamente con successo in quanto semplificava e rendeva il problema accessibile a tutti, avesse subito trovato i colpevoli è ormai dimostrato: gli ebrei.
Qui non si tratta di semplice antigiudaismo, come accadde ai tempi dei Greci e dei Romani, e neppure soltanto di antisemitismo a carattere religioso, quanto di autentico razzismo.
Vite distrutte e segnate
I grandi numeri non bastano
per descrivere la somma di tanti drammi che i superstiti per anni non hanno osato raccontare
La Chiesa, con Pio XI, era stata abbastanza intransigente verso il nazismo. Atteggiamento diverso quello di Pio XII, che divenne Papa nel 1939 e che scelse una linea di apparente neutralità. La prudenza forse era dettata dal timore di evitare vessazioni o addirittura persecuzioni contro i cattolici tedeschi. Però va anche ricordato che il Vaticano fu assai turbato dalla decisione del leader slovacco Jozef Tiso, un sacerdote alleato del Führer, di deportare in Germania dal 1942 migliaia di ebrei come forza lavoro. Il nunzio apostolico a Bratislava intimò a monsignor Tiso di interrompere le deportazioni. È assai probabile che l’ordine fosse giunto dal Pontefice, anche se i critici radicali di Pio XII sostengono che la decisione fosse un’iniziativa autonoma del nunzio. Di fatto le deportazioni dalla Slovacchia furono sospese. Sarebbero riprese nel 1944.
Alcuni gerarchi di Hitler avevano proposto di deportare tutti gli ebrei nel Madagascar, ma le sorti della guerra, i costi e la campagna militare contro l’Unione Sovietica (cominciata nel giugno 1941) avevano imposto scelte alternative. Ecco dunque disegnarsi il massimo dell’orrore. Il 20 gennaio del 1942, in un castello lussureggiante nel Parco di Wannsee, alla periferia di Berlino, i gerarchi di Hitler, guidati da Reinhard Heydrich, feroce responsabile dell’apparato repressivo delle SS, decisero e pianificarono la Soluzione finale. Cinicamente, si voleva evitare ai soldati tedeschi lo «stress da fucilazione», quindi ci si orientò su tre iniziative combinate agghiaccianti: «uccisione, eliminazione, sterminio». Dopo il pranzo si discusse della quantità di gas necessaria per annientare ogni giorno il maggior numero di ebrei e altri elementi ritenuti nocivi, tra cui comunisti, rom, disabili, omosessuali. Di quell’orrenda riunione sarebbe rimasto un unico verbale. Heydrich fu ammazzato cinque mesi dopo a Praga da un commando di resistenti cechi.
In numerosi Paesi, non furono pochi coloro che, rischiando la vita, cercarono di salvare gli ebrei. A Budapest l’italiano Perlasca e lo svedese Wallenberg. A Istanbul, il nunzio Angelo Roncalli (futuro Papa Giovanni XXIII), con l’aiuto di un diplomatico del Reich. A Salonicco il console fascista Guelfo Zamboni riuscì a impedire la deportazione di tutti gli ebrei italiani e anche di numerosi ebrei greci, stampando passaporti temporanei «falsi».
Negli ultimi anni il tema della memoria si è finalmente imposto all’attenzione generale, anche grazie alla decisione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella di nominare senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, che da decenni porta nelle scuole italiane la sua sofferta testimonianza, invitando a visitare il Memoriale di Milano, in un angolo sotterraneo e nascosto della Stazione Centrale, da dove partivano i treni diretti nei campi di sterminio. È stata la Segre a volere che all’ingresso del Memoriale fosse scolpita, a caratteri cubitali, la parola «Indifferenza». L’indifferenza spesso, anzi quasi sempre, è peggio dell’odio.