Corriere 25.1.19
I giudici: violata la legge per una battaglia politica
Ha imposto la sua linea
L’ordine diretto:«La direttiva data per ribadire la sfida alla Ue
Non c’erano motivi di ordine pubblico»
di Giovanni Bianconi
ROMA
«Il ministro ha agito al di fuori delle finalità proprie dell’esercizio
del potere conferitogli dalla legge, in quanto le scelte politiche o i
mutevoli indirizzi impartiti a livello ministeriale non possono ridurre
la portata degli obblighi degli Stati di garantire nel modo più
sollecito il soccorso e lo sbarco dei migranti in un luogo sicuro». Così
i tre giudici del tribunale dei ministri di Catania — Nicola La Mantia,
Sandra Levanti e Paolo Corda — riassumono l’atto d’accusa contro Matteo
Salvini sul «caso Diciotti». Il titolare del Viminale continua a
rivendicare la legittimità di una scelta politica derivante dal proprio
ruolo, quindi insindacabile da parte dell’autorità giudiziaria, ma i
giudici sono di diverso avviso: «Non è ravvisabile la scriminante
ipotizzata, in quanto la decisione del ministro ha costituito esplicita
violazione delle convenzioni internazionali sulle modalità di
accoglienza dei migranti soccorsi in mari».
Tutto si gioca nella
differenza tra un «atto politico», indenne dalle valutazioni dei
magistrati, e un atto «dettato da ragioni politiche», che invece rientra
nelle competenze dei giudici per verificare se costituisca un reato
oppure no. E il tribunale, a differenza della Procura di Catania, ha
ritenuto che la decisione di Salvini di non concedere l’approdo in un
porto sicuro (Pos) rientrasse nella seconda categoria. Non c’erano
ragioni legate alla «tutela dell’ordine pubblico o della sicurezza
pubblica», di cui il ministro dell’Interno è responsabile, che lo
giustificassero. «Lo sbarco di 177 cittadini stranieri non regolati non
poteva costituire un problema cogente di “ordine pubblico” per diverse
ragioni», puntualmente indicate dai giudici.
Tutto è dipeso,
piuttosto, dal braccio di ferro sulla distribuzione dei profughi
ingaggiato da Salvini con l’Europa; è questa la ragione politica di un
ordine arrivato direttamente dal ministro, come risulta dalle numerose
testimonianze. A cominciare dal capo di gabinetto del Viminale, Matteo
Piantedosi che ha dichiarato ai magistrati: «La disposizione che i
migranti restassero a bordo della nave Diciotti fino alla definizione
delle trattative intraprese a livello europeo è stata assunta dal
ministro Salvini ... Ho avuto molte interlocuzioni con il ministro, e mi
sono preoccupato di concretizzare la volontà politica ripetutamente da
lui espressa... È altresì notorio che il ministro Salvini è intervenuto e
interviene in maniera marcata sull’argomento, che rappresenta uno dei
punti centrali del suo programma politico».
Il 25 agosto, quando
ancora la situazione a Catania non si era risolta, i prefetti Gerarda
Pantalone e Buono Corda che guidavano il Dipartimento per l’immigrazione
avevano confermato: «La richiesta di Pos è stata girata al prefetto
Piantedosi, il quale ribadì che non poteva indicare un Pos e occorreva
attendere... Tutta la catena di comando, dal centro verso la periferia,
rimane bloccata in attesa delle determinazioni di carattere politico del
signor ministro», ha detto la Pantalone. E Corda: «Ho più volte
conferito e sollecitato il prefetto Piantedosi, il quale in un paio
d’occasioni mi ha detto di attendere perché questa era l’indicazione del
ministro Salvini».
Nella città etnea tutto era pronto per far
scendere gli extracomunitari e applicare le normali procedure, e questo
particolare «manifesta il carattere illegittimo della conseguente
condizione di coercizione a bordo patita dai migranti». Piantedosi ha
sostenuto che la Diciotti già era un «approdo sicuro» garantito ai
profughi, ma per i giudici esistono risoluzioni e direttive condivise
che non consentono questa valutazione. E a nulla vale che fosse in corso
la trattiva con l’Unione europea: si trattava di «meri auspici
politici» che «non legittimavano il ministro a disattendere le
Convenzioni internazionali ancora vigenti».
Ne deriva una conclusione
che, in attesa delle valutazioni del Senato sull’eventuale «preminente
interesse pubblico, suona anche come un’autodifesa preventiva da parte
dei tre magistrati del collegio: «Va sgomberato il campo da un possibile
equivoco e ribadito come questo tribunale intenda censurare non già un
“atto politico” dell’Esecutivo, bensì lo strumentale e illegittimo
utilizzo di una potestà amministrativa del Dipartimento per
l’Immigrazione, articolazione del ministero presieduto dal senatore
Matteo Salvini, essendo stata l’intera vicenda caratterizzata da
un’evidente presa di posizione di quest’ultimo, che ha bloccato ed
influenzato l’iter della procedura amministrativa».