Corriere 25.1.19
La ricerca di Oxford
Alla nascita siamo uguali (basta falsità)
di Anna Meldolesi
Lo
sviluppo fisico e cognitivo segue un andamento condiviso e universale.
Quindi neonati diversi tra loro cresceranno forti e intelligenti allo
stesso modo. Non importa chi di loro vive in India, Kenya o Brasile,
Inghilterra o Italia. Lo dimostrano i dati raccolti nell’arco di 7 anni
dal progetto Intergrowth-21st in 5 Paesi e coordinati dall’Università di
Oxford.
D ate loro una mamma in buona salute, cibo nutriente, una
casa pulita, affetto e attenzione. Neela, Aasir, Izabel, Isaac e Sofia
cresceranno forti e intelligenti allo stesso modo. Non conta nulla che
abbiano l’incarnato più o meno scuro. Non importa chi di loro vive in
India, Kenya o Brasile, piuttosto che in Inghilterra o Italia. Le tappe
della loro crescita saranno le stesse. Perché lo sviluppo fisico e
cognitivo segue un andamento condiviso e universale. Lo dimostrano i
dati raccolti nell’arco di 7 anni dal progetto Intergrowth-21st in 5
Paesi del mondo.
Per la ricerca, coordinata dall’Università di
Oxford e finanziata dalla Fondazione Bill e Melinda Gates — per l’Italia
sono state «reclutate» 500 gravidanze, tutte seguite alla Struttura
complessa di ginecologia e ostetricia dell’ospedale Sant’Anna di Torino,
diretta da Tullia Todros: «Siamo stati l’unico centro italiano a
partecipare e l’unico europeo oltre Oxford» — sono state selezionate
migliaia di future mamme simili tra loro non solo per età e indice di
massa corporea, ma anche per le condizioni basilari di vita. Le
disparità socio-ambientali, altrimenti, avrebbero mascherato la
potenziale equità insita nella natura. Il numero totale dei soggetti
studiati, tra donne e bambini, ha sfiorato quota 60.000. Ma il nucleo
centrale dello studio è rappresentato dai 1.300 bebè che sono stati
seguiti dal grembo materno fino al compimento dei 2 anni. I primi mille
giorni di vita, infatti, rappresentano il periodo cruciale, quello in
cui il cervello si sviluppa di più. Secondo quanto riferito dai giornali
britannici, i ricercatori hanno misurato i parametri fisici dei
bambini, tra cui la circonferenza cranica. Hanno annotato i loro
progressi, come la capacità di stare seduti e muovere i primi passi.
Hanno testato quanto erano bravi a parlare, osservare, prestare
attenzione, ad esempio chiedendo loro di costruire torri di mattoncini o
trovare oggetti nascosti. Infine hanno completato il quadro con le
osservazioni riferite dalle madri. «A ogni passaggio abbiamo dimostrato
che madri sane hanno bimbi sani e che questi hanno lo stesso tasso di
crescita, indipendentemente dall’etnia. Il fattore chiave è che ricevano
cure e nutrimento adeguati», spiega Stephen Kennedy che, con José
Villar, guida Intergrowth-21st dopo aver lasciato, tra le polemiche, un
analogo progetto dell’Organizzazione mondiale della sanità.
La sua
conclusione può sembrare ovvia ma non lo è, perché finora nessuno lo
aveva dimostrato con chiarezza e perché i pregiudizi razziali sono
ancora diffusi. Basta ricordare che un paio di settimane fa uno degli
scopritori della doppia elica del Dna, il premio Nobel James Watson, è
finito nei guai per aver ribadito la sua convinzione che l’intelligenza
non sia distribuita ugualmente in tutte le razze per cause genetiche.
Una tesi priva di fondamento scientifico ma dura a morire, forse perché
basata su presupposti ideologici più che razionali.
Quando negli
anni 80 l’antropologia molecolare ha dimostrato che l’umanità ha origini
africane e recenti, alcuni hanno festeggiato il valore antirazzista di
quella scoperta. «C’è una fratellanza biologica molto più profonda di
quel che pensassimo», disse lo studioso di evoluzione Stephen Jay Gould.
Ma il pensiero razzista negli anni 90 è tornato all’attacco con le
pseudo-teorie del libro The Bell Curve . Quando nel 2000 è stato
sequenziato il genoma umano, ci siamo illusi di nuovo che bastasse la
scienza a farci sentire uguali, pur nelle differenze. Uno degli artefici
del sequenziamento, il genetista Craig Venter, ha ribadito che «il
colore della pelle non è predittivo dell’intelligenza». Neppure questo è
bastato.
Lo studio sulla crescita dei neonati adesso arriva a
dare manforte all’antirazzismo scientifico. Intanto però 150 milioni di
bambini nel mondo soffrono per le conseguenze della fame e non avranno
la possibilità di sviluppare il potenziale che Kennedy e colleghi hanno
rintracciato nei dati. Alla nascita siamo tutti uguali, magari. Poi però
accade come nella Fattoria degli animali di Orwell: alcuni diventano
più uguali degli altri.