giovedì 24 gennaio 2019

Corriere 24.1.19
Venezuela, «giuramento» in piazza. L’appoggio degli Usa. Morti a Caracas
Guaidó: «Sono io il presidente»
Ma Maduro: il popolo mi sostiene
di Rocco Cotroneo


RIO DE JANEIRO Mano sulla Costituzione, poi sul petto. Il gesto coraggioso del giovane leader dell’opposizione cambia il corso della crisi in Venezuela. Juan Guaidó, 35 anni, si è autoproclamato «presidente incaricato» al posto di Nicolás Maduro, definito «usurpatore», con l’obiettivo di formare un governo di transizione e indire libere elezioni. Nel giro di minuti è arrivato il riconoscimento degli Stati Uniti, un gesto altrettanto clamoroso. «Il popolo venezuelano ha già sofferto abbastanza», ha scritto Donald Trump, convinto rapidamente dallo storico senatore latino della Florida, Marco Rubio, a forzare i tempi. Ancora più esplicito il segretario di Stato Mike Pompeo: «Maduro si faccia subito da parte, a favore di un leader legittimo che rappresenta la volontà dei venezuelani». Altri riconoscimenti formali sono giunti nella stessa giornata di ieri, primo tra tutti dal Brasile di Jair Bolsonaro e poi dalla vicina Colombia, mentre dalla Russia sono arrivate critiche alla mossa Usa. Dopo la grande marcia a Caracas e il comizio finale di Guaidó, manifestazioni e scontri con la polizia sono andati avanti per tutta la notte nella capitale e in altre città del Paese. Le proteste sono state duramente represse e ci sarebbero almeno nove morti e decine di feriti tra gli oppositori.
Ora dunque il Venezuela — il quale ha già due Parlamenti e due Corti supreme — si ritrova con una doppia Presidenza. Ma fino a quando? Ieri a Caracas circolava con insistenza la voce di un mandato di arresto pronto per Guaidó, con un pretesto simile a quello usato per altri oppositori. Mancherebbe solo l’ordine di Maduro alla polizia politica, il Sebin, che già la settimana scorsa aveva spaventato l’oppositore e la sua famiglia con un sequestro lampo.
Un’altra possibilità è che Guaidó cerchi rifugio in una ambasciata straniera a Caracas, quella colombiana per esempio, e da lì diriga il suo governo in esilio. La prima reazione del regime è stata di convocare i fedelissimi in una manifestazione attorno al palazzo presidenziale. A prendere le redini della situazione è stato prima il numero due, Diosdado Cabello: siamo di fronte ad una palese violazione della Costituzione, ha detto. «Non ci importa quello che decide l’Impero. La rivoluzione bolivariana non ha data di scadenza!». Poi Maduro è apparso al balcone del palazzo presidenziale: «Da qui non ci muoviamo perché siamo stati eletti dal popolo. Solo così si diventa presidente!» Poi ha annunciato la rottura delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, dando 72 ore affinché tutto il personale diplomatico lasci il Paese.
Ci sarà una nuova ondata di repressione? Il mentore politico di Guaidó, Leopoldo López, venne arrestato cinque anni fa in una situazione simile a quella di ieri: una sorta di autoproclamazione al termine di una grande marcia per le strade di Caracas. Ma stavolta la posta in gioco è assai più alta, per via dei riconoscimenti internazionali, il collasso ormai totale dell’economia e i fermenti nelle forze armate. L’autoproclamazione di Guaidó, spiegano nell’opposizione, trova un appoggio legale in tre articoli della Costituzione, che danno potere di intervento al presidente dell’Assemblea nazionale, il Parlamento, in caso di necessità e vuoto di potere.
La crisi del chavismo, un regime in fase terminale, è dovuta in primo luogo all’aggravamento della crisi economica e umanitaria, ma la svolta politica è l’inizio formale del secondo mandato di Nicolás Maduro. La decisione del Parlamento di cambiare leadership e scegliere il giovane Guaidó è stata un’altra mossa decisiva. Organismi internazionali come la Oas e il Parlamento europeo sono stati i primi, di fatto, a riconoscere la legittimità di un governo ombra.