martedì 22 gennaio 2019

Corriere 22.1.19
La strategia per la Libia «Niente vittime»
Il filo diretto tra Conte e 007
di Fiorenza Sarzanini


C’è un precedente drammatico che preoccupa gli apparati di sicurezza. È il naufragio nel Canale di Sicilia del 18 aprile del 2015, quando un barcone partito dalla Libia affondò provocando almeno 700 vittime.
I racconti dei pochi sopravvissuti consentirono di disegnare uno scenario inquietante: i trafficanti avevano obbligato gli stranieri a salire a bordo nonostante il mare forza otto e le condizioni proibitive del tempo. Alcuni erano stati minacciati di morte con i mitra se non avessero accettato di salpare. La convinzione degli investigatori è che le organizzazioni criminali avessero deciso di rischiare o forse addirittura provocare una tragedia per fare pressione sull’opinione pubblica e così convincere Italia e Unione Europea a pianificare una politica di accoglienza e soccorso. Una strategia che potrebbe ripetersi adesso.
La cabina di regia
Domenica mattina, quando è arrivata la notizia di un gommone in avaria al largo di Misurata con circa 150 persone, il premier Giuseppe Conte ha deciso di gestire personalmente la crisi. Mentre il ministro dell’Interno Matteo Salvini faceva la faccia feroce contro gli stranieri, ribadendo che «i nostri porti sono chiusi» perché lui vuole «garantire regole, ordine e rispetto», il premier ha attivato l’ intelligence . L’Aise — l’Agenzia per la sicurezza all’estero — si occupa ormai da tempo di gestire il dossier libico tessendo una tela che parte dalle autorità governative e passa per i capi della Guardia costiera locale che pianificano gli interventi di soccorso e recupero in mare. Ma deve inevitabilmente comprendere i capi delle milizie, visti i legami con i trafficanti di esseri umani .
In realtà anche il titolare del Viminale è stato costretto a occuparsi di un’emergenza che rischiava di provocare altre decine di vittime, dopo il naufragio del giorno precedente. Ma Conte ha imposto che la cabina di regia fosse a Palazzo Chigi. E ha chiarito la linea: «Quelle persone devono essere salvate, dobbiamo fare in modo che vengano soccorse». Con il trascorrere delle ore gli appelli dei naufraghi rilanciati dagli attivisti di «Alarm Phone» sono diventati drammatici. E i contatti tra Conte e i vertici degli 007 si sono trasformati in una linea costantemente aperta. «Perché — è questo il ragionamento fatto dal premier — dobbiamo essere noi a gestire la vicenda, non possiamo consentire che siano le Ong a effettuare i soccorsi. Bisogna fare pressione sui libici, obbligarli a intervenire».
Il salvataggio notturno
La prima risposta della Guardia costiera di Tripoli era stata negativa. «Non abbiamo mezzi, siamo già impegnati in altre due operazioni». Da Roma si è deciso di insistere, però è arrivato un altro rifiuto: «La terza motovedetta non è in condizioni di uscire». Nel pomeriggio, quando dalla Sea Watch hanno comunicato che sarebbero andati loro «sperando di arrivare in tempo perché sono 15 ore di navigazione», Conte ha ribadito in maniera netta che non era questa la soluzione e quindi bisognava a tutti i costi convincere i libici a gestire l’operazione: «Queste persone devono essere recuperate in qualsiasi modo».
In quel tratto di Mediterraneo c’era un cargo della Sierra Leone, il pressing su Tripoli effettuato da Roma alla fine ha imposto il cambio di rotta e il salvataggio in mare. Alle 22.30 quando è cominciato il trasbordo per portare i migranti a Misurata, Palazzo Chigi ha comunicato che «la questione è stata risolta». Anche se la consegna alle autorità libiche espone l’Italia alla condanna internazionale, perché è ben noto come il destino di quelle 150 persone sia l’ingresso nei centri di detenzione. E forse per questo il premier ieri, al termine dell’incontro con il primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali ha voluto manifestare pubblicamente «la volontà di collaborare per stabilizzare il continente africano, pronti a intensificare la cooperazione anche su questo fronte». Una strada già indicata la scorsa settimana durante i colloqui con le autorità di Niger e Ciad.
I migranti con il burka
Adesso bisogna però tenere aperto il canale con la Libia. C’è la consapevolezza di dover versare una contropartita, così come sempre è avvenuto, ma in cambio è stata chiesta la garanzia che riprendano i pattugliamenti sulla costa e gli interventi in mare. La lista delle richieste continua ad allungarsi, va oltre mezzi e apparecchiature, sollecita progetti di sviluppo che vuol dire soldi. Ma in cambio le forze di sicurezza locali assicurano la massima collaborazione.
Ieri hanno fatto sapere di aver bloccato un pullman carico di persone che gli scafisti avevano mascherato con il burka per far credere si trattasse di fedeli che andavano in pellegrinaggio. In realtà erano uomini e donne che avevano già versato i soldi per imbarcarsi verso l’Europa. L’ultimo stratagemma delle organizzazioni criminali che non si fermeranno pur di continuare a gestire il loro traffico di essere umani.