lunedì 21 gennaio 2019

Corriere 21.1.19
La moneta coloniale che divide i francesi
Le parole di Macron al vertice G5 in Mali
«Chi non ci sta la lasci»
di Stefano Montefiori


PARIGI Con la frase sulla moneta africana, Luigi Di Maio interviene in una controversia che da qualche anno è diventata centrale nei rapporti tra la Francia e le sue ex colonie.
Più o meno consapevolmente, il vicepremier italiano si schiera di nuovo con i gilet gialli — stavolta centroafricani — che a fine anno hanno sfilato nella capitale Bangui invocando la fine del franco CFA e quindi, secondo loro, del sistema neocoloniale francese che sfrutta le risorse, frena la crescita e obbliga i giovani a emigrare rischiando la morte.
La questione è molto dibattuta perché i sostenitori del franco CFA lo ritengono invece un fattore di stabilità, che ha aiutato le economie di 14 Paesi africani a non farsi travolgere dall’inflazione e dai mercati paralleli come invece è successo per esempio in Zimbabwe.
Il franco CFA (che in origine stava per Colonie Francesi d’Africa) è stato creato il giorno di Natale 1945 dal generale De Gaulle ed è rimasto in vigore anche dopo l’indipendenza delle colonie.
È usato oggi in otto Paesi dell’Africa occidentale (Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guina-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo) con Banca centrale a Dakar, e in sei Paesi dell’Africa centrale (Camerun, Repubblica centrafricana, Congo, Gabon, Guinea equatoriale, Ciad) con Banca centrale a Yaoundè. Il franco CFA aveva parità fissa con il franco francese e adesso è legato all’euro (1 euro = 655,957 FCFA). Il franco CFA è garantito dal Tesoro francese, che in cambio mantiene propri rappresentanti in seno alle due banche centrali. Queste, inoltre, sono tenute a mettere il 50% delle riserve di cambio in un conto speciale del Tesoro francese.
Nel luglio 2017, da poco eletto presidente, Macron ha affrontato la questione durante il vertice G5 Sahel di Bamako, in Mali: «Se non si è felici nella zona franco, la si lascia e si crea la propria moneta come hanno fatto la Mauritania e il Madagascar». Macron si è rivolto poi con franchezza ai leader africani: «Se invece si rimane, bisogna smetterla con le dichiarazioni demagogiche, che fanno del franco CFA il capro espiatorio dei vostri fallimenti politici ed economici, e della Francia la fonte dei vostri problemi». Stessa posizione ribadita nel novembre di quell’anno a uno studente di Ouagadougou, in Burkina Faso: «Non dovete avere un approccio stupidamente post-coloniale o anti-imperialista, non è questo il punto. Se i dirigenti africani vogliono cambiare il perimetro di utilizzo del franco CFA, o cambiare il nome, o sopprimerlo del tutto, sono favorevole. In ogni caso, spetta a loro decidere».
La giornalista francese Fanny Pigeaud e l’economista senegalese Ndongo Samba Sylla hanno pubblicato a settembre il libro «L’arma invisibile della Françafrique: storia del franco CFA». Ndongo Samba Sylla considera la moneta «la causa principale del sottosviluppo». Lo scorso Natale i capi di Stato della CEDEAO (comunità economica dell’Africa occidentale) hanno deciso di lavorare insieme per trovare il nome e il simbolo di una nuova moneta unica che dovrebbe sostituire — non prima del 2020 — il franco CFA.