Corriere 20.1.18
Da dove ripartire
I cattolici e la classe dirigente
di Angelo Panebianco
Accade
talvolta che una discussione pubblica sia molto più interessante per
ciò che essa sottintende, per ciò che vi si scorge sottotraccia, che non
per gli argomenti usati dai partecipanti. Tale è forse il dibattito che
(nel centenario dell’ «Appello al Paese» di Luigi Sturzo, il padre del
popolarismo) sta animando alcuni settori della Chiesa e ambienti ad essa
collegati. Esprime il desiderio o la speranza (non ancora un progetto)
di vedere rinascere, qui in Italia, un partito dei cattolici. Se ne
comprendono le ragioni. Da un lato, una generale insoddisfazione, che
accomuna molti cattolici (ma non solo loro), per la qualità della classe
politica italiana nelle sue varie componenti. Dall’altro lato, il fatto
che in Italia viga di nuovo il metodo elettorale proporzionale: nella
lunga età dell’oro del (secondo) partito cattolico - la Democrazia
cristiana - c’era, per l’appunto, il proporzionale. Perché non cogliere
l’occasione?
Sia detto col massimo rispetto possibile: la
discussione mi pare poco sensata. La politica dell’identità cattolica è
fuori tempo massimo. Non si tiene conto della secolarizzazione: come è
possibile ipotizzare che a chiese poco frequentate e a seminari vuoti
possano corrispondere urne elettorali traboccanti di voti cattolici?
Davvero avrebbe senso dare vita a un partito dei cattolici del 4, del 5 o
persino dell’8 per cento?
Non sarebbe un modo, abbastanza
autolesionista, di fare «pesare» ufficialmente, pubblicamente, la
propria (ormai scarsa) forza politica? Si tenga per giunta conto del
fatto che il tramonto della politica dell’identità cattolica qualche
vantaggio ai cattolici lo ha comunque dato. Oggi un leader politico
capace può attirare il consenso di cattolici e di non cattolici
indifferentemente. Solo la sua qualità e le sue proposte contano. Il
fatto che, eventualmente, egli sia un cattolico, di sicuro non impedirà a
elettori non credenti di apprezzarlo e di sostenerlo.
Ciò
premesso, il dibattito sul partito cattolico è interessante per ciò che
sottintende. Vi ha accennato Ernesto Galli della Loggia ( Corriere , 18
gennaio) nella sua ricostruzione sul ruolo politico dei cattolici
italiani. Il «sottinteso», il sottotraccia, riguarda il modo di
formazione delle classi politiche in Italia. Con tutta evidenza, la
scomparsa dei partiti politici storici dei primi anni novanta, ha fatto
scomparire anche sedi e canali mediante i quali venivano «allevati»,
educati, i futuri politici. È da quel buco nero che sono schizzati fuori
i tantissimi dilettanti allo sbaraglio che affollano la vita pubblica
italiana, persino in posizioni apicali. C’è per lo meno un barlume di
razionalità (ossia, se ne capiscono le ragioni), nel fatto che qualcuno
abbia pensato: se non ci sono più i partiti storici a formare le classi
politiche, perché non rivolgersi alle istituzioni ecclesiali? Con le
loro tradizioni e la loro antica sapienza non mantengono forse una
capacità di formazione di classi dirigenti che non è presente in altri
luoghi? A parte il fatto che anche quelle istituzioni e le loro antiche
capacità sembrano essersi alquanto deteriorate negli ultimi tempi, resta
che, pur essendo comprensibile, questo ragionamento è fallace. Se
quella strada venisse davvero percorsa verrebbero danneggiate in un
colpo solo la democrazia italiana (colpita nella sua laicità) e la
Chiesa (trascinata per i capelli dentro lotte partigiane).
Però
l’esigenza che sta sottotraccia in quel dibattito permane. Come formare
classi politiche di qualità? Poiché i partiti, così come (nel bene e nel
male) li abbiamo conosciuti, non sono più ricostituibili nell’epoca dei
social , che si può fare? Una strada (forse l’unica possibile, almeno
sulla carta) ci sarebbe. Premetto che ci sono due pesanti
controindicazioni. La prima è che gli eventuali buoni risultati
potrebbero venir fuori solo nel medio-lungo termine. La seconda è che
non sarà una strada praticabile fin quando le cosidette élite
continueranno a fare spallucce, a voltarsi dall’altra parte, o a
sbadigliare (come hanno sempre fatto), quando qualcuno solleva
l’argomento.
Chi vuole avere in futuro élite politiche di valore
deve ricostituire scuole, di ogni ordine e grado, di valore, deve
reimpostare in chiave rigorosamente meritocratica il nostro sistema
educativo. Attenzione, non si tratta di cadere nell’ingenuità di credere
che ciò di per sé possa formare classi politiche capaci (questo è un
pregiudizio intellettualistico che non appartiene a chi scrive). No,
avere scuole di qualità comporta la formazione di una massa critica di
«pubblico attento», indisponibile a perdonare ai politici strafalcioni e
fesserie. Un folto pubblico attento, prodotto di scuole di qualità, non
avrebbe mai permesso a politici di poco valore, ad esempio, di
incoraggiare i no vax e altre correnti irrazionali (che cosa è successo e
perché agli ulivi pugliesi attaccati dalla Xylella?) che rendono la
vita quotidiana irrespirabile.
La selezione di classi politiche
migliori può essere solo un sottoprodotto: il frutto della affermazione
di un pubblico (minoritario ma comunque consistente) composto da persone
rese esigenti grazie a un sistema di istruzione di qualità.
In
tanti si strappano i capelli oggi perché la vita pubblica è affollata da
mediocri. Ma se costoro non capiscono quanto abbia pesato e quanto pesi
il deterioramento del sistema educativo, allora ciò significa che
anch’essi sono dei mediocri. Non importa, francamente, se sono cattolici
o non lo sono.