Corriere 19.1.19
Israele, terra di tesori
Meraviglie archeologiche ma anche kibbutz: venite a scoprire il Paese con il «Corriere della Sera»
di Davide Frattini
La
città vecchia di San Giovanni d’Acri, Masada, i giardini Bahai ad
Haifa, i siti archeologici di Megiddo, Hazor, Beer Sheva, i villaggi
nabatei scavati nella roccia desertica del Negev, il quartiere Bauhaus
disegnato dagli architetti europei a Tel Aviv. Sono i beni locali (c’è
anche la basilica della Natività a Betlemme, su raccomandazione dei
palestinesi) già tutelati e inseriti nella lista planetaria dell’Unesco,
tesori che nelle sue tappe il viaggio del Corriere visita in gran
parte.
Da anni la commissione israeliana presso l’ente delle
Nazioni Unite chiede che i kibbutz vengano aggiunti a questo patrimonio
dell’umanità. Come il DNA di un dinosauro scomparso o i ruderi di un
fortino in disfacimento, i villaggi che sopravvivono uguali a cent’anni
fa — collettivi e socialisti — sono rimasti solo 65 su 279. La mensa per
tutti, la stalla vicino alla biblioteca, i canti attorno al fuoco, gli
asili comunitari. Cimeli di un passato da pionieri che la maggior parte
degli israeliani considera superato. Un passato che il gruppo di
studiosi e ricercatori vuole preservare a partire dal progenitore
Degania — già in attesa di ammissione nell’elenco dell’Unesco —
costruito nell’ottobre del 1910 sulle rive del lago di Tiberiade.
Gli
immigrati arrivati dall’Europa agli inizi del secolo scorso
stabiliscono le comunità agricole nelle piane (spesso acquitrini da
bonificare) che il nostro viaggio attraversa durante lo spostamento da
Tel Aviv verso il nord del Paese. Alla fine di marzo, dopo le piogge
intense dei due mesi precedenti, i campi sono ancora verdi, come le
colline della Galilea che salgono tra Haifa e Nazareth: il bianco delle
tipiche case a un piano spicca ben visibile, anche se la vita
all’interno ha subito una rivoluzione opposta a quella sognata dai
fondatori. La maggior parte di questi villaggi è stata privatizzata per
limitare l’emorragia di denaro e adepti. Nel 2007 si sono arresi pure i
320 abitanti di Degania e l’85 per cento ha votato per abolire la frase
incisa nello statuto originario: «Il 25 di Tishri 5671 (28 ottobre 1910,
ndr), noi compagni, dieci uomini e due donne, abbiamo fondato un
insediamento indipendente di lavoratori ebrei. Una cooperativa, senza
sfruttatori e senza sfruttati. Una comune» .
Anche la Città
Vecchia di Gerusalemme – con tutta la sua complessità è al centro del
viaggio del «Corriere» – è stata inserita su richiesta della Giordania
nel forziere dell’Unesco che protegge i tesori culturali e naturali. Il
naso rivolto all’insù, gli occhi spalancati, è verso queste pietre che
Yitzthak Yifat rivolge lo sguardo commosso. Tiene l’elmetto tra le mani,
assieme ai commilitoni ha combattuto per i vicoli, è tra i primi
israeliani ad arrivare davanti al Muro del Pianto: è il 7 giugno del
1967, i macigni incastrati uno sopra l’altro puntellano da un paio di
millenni la speranza e la volontà degli ebrei di tornare a pregare qui,
ormai sorreggono anche la Spianata delle Moschee, il terzo luogo più
sacro per l’islam.
La Sura 17 del Corano racconta della notte in
cui Maometto fuggì sulla bestia mitologica chiamata Buraq alla «moschea
più lontana» – in arabo «al- Masjid al-Aqsa – dove guidò in preghiera un
gruppo di profeti prima di ascendere in cielo. Nel 691, quasi
sessant’anni dopo la sua morte, il califfo Abd Al-Malik ibn Marwan diede
ordine di costruire una moschea sulla roccia al centro del monte a 740
metri sul livello del mare.
Nella tradizione ebraica quella roccia
è il punto d’incontro tra il Cielo e la Terra, è la rupe a cui Abramo
ha legato Isacco, è il basamento del Primo e del Secondo Tempio, che
venne distrutto dai romani nel 70. Lo aveva ricordato Benjamin
Netanyahu, il primo ministro israeliano, quando un paio di anni fa aveva
polemizzato con i diplomatici che avevano sostenuto una di serie di
risoluzioni votate proprio all’Unesco: «Cancellano la nostra storia e il
legame che unisce gli ebrei al Monte del Tempio». Li aveva invitati a
visitare l’Arco di Tito a Roma: sul marmo è inciso ed esaltato il
saccheggio di Gerusalemme, il bottino di guerra che comprendeva anche la
menorah a sette bracci. Il candelabro a olio acceso dai sacerdoti per
illuminare il Secondo Tempio è ancora il simbolo di Israele.