sabato 19 gennaio 2019

Corriere 19.1.19
Governo anti destra tra mille stampelle, la Svezia si scongela
Via libera a Löfven dopo quattro mesi di stallo
di Francesco Battistini

Fuori dal sin-bin. L’ultima mattina elettorale di Stoccolma, sotto un sole settembrino color peltro, tutta la stampa straniera aspettava all’angolo di Sergels Torg la nuova star Jimmie Akesson, il Salvini di Svezia, mediatico e arrembante. Il probabile vincente. Invece con un giubbotto blu modello saldatore (qual è stato), i jeans del sabato, con una sola guardia del corpo, a un certo punto comparve Stefan Löfven. Il socialdemocratico. Il primo ministro uscente. Il sicuro perdente. Che passava di lì. E non si sottrasse alla sua immagine di sfavorito. Mister Löfven, gli chiesero sapendolo appassionato di hockey, si sente già cacciato nel sin-bin, la panchina di chi è fuori partita? «In politica puoi anche finire nel sin-bin. Ma le espulsioni sono a tempo».
È stato fuori solo quattro mesi. Lo stallo è finito e la Svezia è andata sull’usato sicuro. Richiamando a capo dell’ennesimo governo di minoranza il leader del (comunque) primo patito del Paese, il premier saldatore d’un Parlamento spaccato in due blocchi uguali, il salvatore d’una socialdemocrazia ai minimi storici. Una maggioranza rosso-verde. Che agli eterni alleati su welfare e ambiente stavolta associa anche liberali e centristi, eletti nella coalizione di centrodestra, ma passati al centrosinistra pur d’evitare nuove elezioni e soprattutto una vittoria dell’ultradestra di Akesson. Il nuovo premier ha incassato 115 sì, 153 no, 77 astenuti, ma in Svezia questo non è mai stato un problema: per avere la fiducia del Riksdag, basta non avere contro la maggioranza assoluta dei deputati. «Sfidiamo l’ambizione dell’estrema destra — annuncia Löfven —, proteggeremo la democrazia».
Un governo di salvezza nazionale. Chiamato prima di tutto a salvare se stesso: il sostegno dei due nuovi alleati, che il leader moderato dell’opposizione Ulf Kristersson ora bolla come «traditori del mandato elettorale», che Akesson irride come «comparse al teatro dell’assurdo», ha un alto costo politico. Decisivi saranno partiti agli antipodi dei rosso-verdi. Ai quali Löfven ha dovuto fare concessioni sul programma: meno tasse nel Paese più tassato del mondo, mercato del lavoro flessibile, deregulation del mercato immobiliare… «Sono minate le colonne portanti del welfare — è la fronda nel partito —, rischiamo di perdere molta base»: chi già lo fece, Persson a fine anni 90, perse anche le elezioni.
Non solo. Nell’ultimo secolo, i socialdemocratici hanno governato per 75 anni. E pur di non perdere la leadership, a questo giro hanno negoziato l’astensione dell’estrema sinistra: «L’abbiamo concessa, per evitare una coalizione coi razzisti e gli xenofobi di Akesson — dice il leader, Jonas Sjostedt —. Ma se Löfven prova a fare politiche di destra, siamo pronti a staccare la spina». Il premier è un sorvegliato speciale degli ex comunisti: quando l’ondata migratoria travolse la Svezia, 163 mila profughi solo nel 2015, in Europa la più alta percentuale pro capite, il suo governo tentò di chiudere il gigantesco ponte che collega la Danimarca e, prima volta, sospese i trattati internazionali che da più di sessant’anni permettono agli scandinavi di girare il Nord Europa senza documenti. «Siamo nella No Man’s Land», nella terra di nessuno, scriveva un giornale di Stoccolma settimane fa, nel mezzo del rebus che impediva di formare una maggioranza. Qualcuno ora c’è: i soliti noti di sempre, per evitare l’ignoto d’adesso.