Corriere 15.1.19
«I neri meno intelligenti». Bufera sul Nobel Watson
Lo studioso del Dna parla di «inferiorità genetica». Il Cold Spring Harbor Laboratory chiude i rapporti
di Anna Meldolesi
Vorremmo
poter salvare la fulgida bellezza della doppia elica dalla spirale di
autodistruzione in cui è caduto chi l’ha scoperta. Ci piacerebbe
liquidare l’ultimo scandalo come un incidente o come un’imboscata
mediatica, tesa a un uomo anziano e malato.
Ma la triste verità è
che nemmeno gli ammiratori più ferventi di James Watson sono riusciti ad
abbozzare una linea di difesa dopo che lo scienziato ha ribadito
davanti alle telecamere di ritenere che i neri siano geneticamente meno
intelligenti dei bianchi.
Il documentario che lo ha messo
definitivamente nei guai, spingendo il laboratorio di Cold Spring Harbor
a chiudere ogni rapporto, si intitola «Decoding Watson». Sarà in
vendita su Amazon a febbraio, ma i resoconti di chi lo ha visto non
sembrano lasciare spazio ai dubbi.
Quando gli chiedono se abbia
cambiato idea sul legame tra intelligenza e razza, dopo le avventate
dichiarazioni del 2007, il premio Nobel risponde prontamente di no. Dice
che gli piacerebbe credere che le influenze ambientali contino più
delle differenze biologiche, ma il divario di prestazioni intellettuali
tra bianchi e neri ha basi genetiche.
Divario
Secondo lo scienziato il divario di prestazioni intellettuali avrebbe basi genetiche
Watson
tentenna un attimo prima di chiudere la frase, forse soppesa le
conseguenze, ma non si tira indietro. Ripropone le vecchie tesi, senza
aggiungere nulla di nuovo. Chissà se Jim l’onesto (gli piace definirsi
così) ha letto il lavoro di quell’altro Jim che di cognome fa Flynn.
Analizzando i punteggi del QI in giro per il mondo, questo studioso
neozelandese ha scoperto che i valori sono andati crescendo col passare
del tempo. Segno che lo sviluppo sociale ed economico può liberare il
potenziale cognitivo delle persone e delle popolazioni.
Certo, la
genetica dell’intelligenza è complessa e ancora in buona parte da
decifrare. Ora sappiamo anche che tra il Dna e l’ambiente c’è spazio per
un’altra forza, che viene chiamata epigenetica. Ma il mistero più
grande forse è umano più che scientifico.
Com’è possibile che il
gusto per le provocazioni politicamente scorrette possa far deragliare
una mente brillante come quella di Watson? Le tante sparate che ha
collezionato nel corso degli anni suggeriscono che la risposta non sia
da cercare soltanto nella vecchiaia. La speranza adesso è che la voglia
di contrastare certi pregiudizi possa andare oltre le colpe di Watson,
perché il razzismo è un problema ben più diffuso. E che le critiche
all’uomo non facciano dimenticare i meriti dello scienziato che è stato.