Corriere 13.1.19
Se con il duello tra Russia e Ucraina torna (anche) la guerra di religione
Nel mondo della tecnologia le passioni religiose e gli interessi politici restano pericolosamente intrecciati
di Sergio Romano
Può
una cerimonia religiosa rendere ancora più tese e bellicose, dopo
l’«incidente» del Mar di Azov, le relazioni fra Russia e Ucraina? È
accaduto negli scorsi giorni a Istanbul quando l’ultimo erede dei
patriarchi di Costantinopoli, alla presenza del presidente ucraino, ha
solennemente firmato un documento (in greco tomos) che sottrae la Chiesa
ortodossa di Kiev al magistero del Patriarcato di Mosca e ne certifica
l’indipendenza. Il governo russo ha protestato e, insieme a Mosca,
quella parte della società ucraina che non vuole rompere i propri
secolari legami con la Grande Madre Russia. Credevamo che le guerre di
religione appartenessero al passato e pensavamo che i rapporti fra gli
Stati, nel ventunesimo secolo, subissero l’influenza di più concrete
motivazioni. Ma siamo costretti a constatare che nel mondo dei droni e
dell’intelligenza artificiale vi sono ancora situazioni in cui le
passioni religiose e gli interessi politici sono pericolosamente
intrecciati. La cerimonia di Istanbul, in particolare, ha un lungo
antefatto. Comincia nel XVI secolo, quando un monaco di cui conosciamo
soltanto il nome (Filofeo), scrisse al Gran Duca di Moscovia: «Sappi e
riconosci, pio zar, che tutti i regni cristiani si sono compendiati nel
tuo; che la Prima e la Seconda Roma sono cadute; e che ora si erge una
Terza Roma, a cui non succederà mai una quarta; il tuo regno cristiano
non cadrà in potere di nessun altro». La profezia piacque ai russi, ne
riscaldò i cuori e divenne, anche in epoche meno religiose, titolo di
orgoglio per un popolo che si considerava votato, in nome di Dio, a un
futuro imperiale. La Russia se ne servì per conferire nobiltà religiosa
alla dinastia dei Romanov, rafforzare il proprio prestigio nella grande
famiglia dei popoli slavi, accendere una ipoteca sui luoghi santi e
sulle terre che erano appartenute all’Impero cristiano di Oriente. Lenin
vide nella Chiesa russa un potenziale nemico e ne perseguitò
ferocemente il clero; ma anche nei primi anni dello Stato comunista vi
fu un nazional-bolscevismo che non ignorava l’importanza del fattore
religioso nel patriottismo russo. Ne fu consapevole anche Stalin quando
comprese che «patria e fede», contro la Germania di Hitler, sarebbero
state più efficaci di «falce e martello». Dopo la fine della guerra
Stalin pagò il suo debito verso la Chiesa restituendo al culto qualche
monastero e regalando al clero ortodosso ucraino i beni che erano
appartenuti agli uniati (cattolici romani di rito greco). Vladimir Putin
è andato oltre. È credente, osserva con grande zelo le festività
religiose, si immerge a torso nudo nella gelida acqua di un lago il 19
gennaio (giorno dell’Epifania ortodossa) ed è, a quanto pare, fraterno
amico di Cirillo, Patriarca di Mosca. Attraversa una fase di declinante
popolarità, ma l’ultima mossa ucraina gli garantisce un utile sostegno.