Corriere 12.1.19
Trump inizia la ritirata siriana
Primi mezzi verso il Kurdistan iracheno. E i turchi preparano la missione a Washington
di Giuseppe Sarcina
WASHINGTON
«Abbiamo cominciato il ritiro dalla Siria, ma per ragioni di sicurezza
non forniremo alcuna indicazione sui tempi e sui movimenti delle
truppe», annuncia, con una mail inviata all’ Associated Press , il
colonnello Sean Ryan, portavoce del quartier generale americano a
Baghdad.
«Stiamo portando voi solo parti dell’equipaggiamento, ma
nessun militare» correggono due funzionari del Pentagono, parlando,
però, informalmente con i giornalisti. È un’altra giornata di confusione
a Washington. Al Congresso nessuno sa nulla, neanche i parlamentari
repubblicani che seguono più da vicino il Medio Oriente. I riscontri che
arrivano dal campo sono frammentari. Rami Abdel, direttore
dell’Osservatorio dei diritti umani fa sapere che «circa 150 soldati si
sono ritirati dalla base americana di Rmeilan». Nella notte di giovedì
scorso, 10 gennaio, alcuni attivisti dell’organizzazione hanno visto un
convoglio composto da una decina di autoblindo, più alcuni camion,
lasciare la cittadina a nord est della Siria, e dirigersi verso l’Iraq.
«Normali spostamenti di militari», rispondono, sempre in modo anonimo
dal Dipartimento della Difesa, aggiungendo che anzi «potrebbero essere
aggiunti altri soldati per facilitare la smobilitazione».
L’impressione
è che gli Stati Uniti abbiano comunque iniziato ad avviarsi verso la
porta d’uscita. Lentamente, però, e cercando di sistemare la crisi
politica aperta con la Turchia. Martedì scorso il presidente Recep
Tayyip Erdogan si era rifiutato di incontrare il John Bolton, in visita
ad Ankara. Il consigliere per la sicurezza nazionale voleva la garanzia
che l’esercito turco non avrebbe attaccato la formazione curda dello
Ypg, dislocata nel nord est della Siria e, fin dall’inizio del
conflitto, partner degli americani nella lotta all’Isis. Erdogan,
furibondo, aveva pubblicamente attaccato Bolton, rivelando che «gli
accordi con Donald Trump erano altri».
I due leader hanno discusso
del dossier Siria in diverse occasioni nell’ultimo mese. Ma solo negli
ultimi giorni l’amministrazione americana si è mossa per garantire la
sicurezza dei miliziani curdi, considerati dai turchi semplicemente dei
terroristi. Motivo? Dopo l’annuncio di Trump, la leadership dello Ypg ha
chiesto protezione al regime di Bashar al Assad e al suo alleato
Vladimir Putin. A quel punto Bolton si è messo in moto per non lasciare
altro spazio nella regione alla Russia e, soprattutto, all’altra sponda
di Assad, l’Iran.
Ieri Bolton ha detto che i colloqui tra Stati
Uniti e Turchia riprenderanno la prossima settimana. Sarà un confronto
lungo e complicato, ma intanto i due alleati Nato tornano in contatto.
Il 5 febbraio è attesa qui a Washington una delegazione turca guidata
dal vice ministro degli Esteri, Sedat Onal.
Nel frattempo Trump
bada alla sua priorità assoluta: il Muro. Sempre più esigue le
possibilità di un compromesso. La Speaker dei democratici, Nancy Pelosi,
raddoppia l’offerta di fondi: 2,8 miliardi di dollari per la sicurezza
al confine. Agenti, attrezzature, ma neanche un dollaro per il Muro. Il
presidente ha annunciato che «aspetterà ancora un po’» a dichiarare
l’emergenza nazionale e, eventualmente, utilizzare le risorse destinate
alle catastrofi naturali in Texas, California e Porto Rico per costruire
»la grande Barriera».