«Sapere aude»
Repubblica 18.12.18
Steven Pinker "Niente paura siamo illuministi"
Lo
psicologo di Harvard, celebre per le sue analisi anti-apocalittiche
sulla nostra epoca, ci racconta perché a suo giudizio, e al contrario di
quanto vogliono far credere i populisti, la ragione e il progresso
prevalgono ancora
intervista di Giampaolo Cadalanu
Osa
sapere, esortava Immanuel Kant, riprendendo un’esortazione di Orazio
per farne il motto dell’illuminismo. «Il coraggio di usare la propria
intelligenza», come lo definiva il filosofo di Königsberg, sarebbe
prezioso di fronte al ritorno dell’irrazionalismo, per contrastare
richiami populisti e paranoie antiscientifiche. Ma lo spirito dei lumi
può essere ancora attuale, se deve convincere non più un sovrano, ma i
popoli? Secondo Steven Pinker, psicologo cognitivo e linguista, la
risposta è più che mai positiva. Il progresso dell’umanità è tangibile,
ribadisce lo studioso canadese-americano nel suo Illuminismo adesso, che
esce ora per Mondadori. Si deduce dai dati, dalle tendenze, dalle
cifre: per vederlo basta guardare ai problemi dell’esistenza con un
approccio "illuminato", senza farsi abbagliare dalle paure amplificate
dai populisti.
Il suo libro esce in Italia proprio mentre il
nostro Paese, come altri, attraversa un periodo di allerta generale sui
pericoli del populismo. Pensa che l’illuminismo possa essere la terapia
reale contro la ripresa dell’irrazionalismo?
«Io non ho scritto il
libro come terapia; l’ho scritto per chi si preoccupa di questi temi:
intellettuali, editorialisti, politici, e naturalmente i lettori del
giornale. Vorrei dimostrare che ci sono buone ragioni per le quali
dovremmo abbracciare la ragione, la scienza e l’umanesimo, in primo
luogo i progressi compiuti dall’Illuminismo. Non sono un propagandista, o
un diffusore di meme virali, o uno stratega politico. Ma è importante
che chi cerca di combattere le tendenze irrazionaliste sappia perché lo
fa».
Senza l’approccio della ragione, lei ricorda, l’individuo è
sempre tentato di credere che la sua vita sia influenzata da forze al di
fuori della sua comprensione. Ma questa percezione può nascere anche da
fattori, come l’economia globalizzata, che possono sembrare
incomprensibili.
L’illuminismo può essere un aiuto contro le spiegazioni dei populisti?
«Non
penso che le persone abbiano difficoltà a capire che il proprio lavoro
sia svalutato dalla concorrenza di Paesi più poveri, come il Bangladesh o
la Cina (anche se non possono controllare questo sviluppo, ma in
nessuna era hanno potuto controllare le tendenze dell’economia). Ma è
importante tenere a mente che i partiti populisti (quanto meno negli
Usa) non sono sostenuti dalle fasce più povere della popolazione. Molti
elettori dei partiti populisti stanno bene economicamente. La gente non
reagisce alle proprie condizioni di vita, ma alla propria comprensione
delle condizioni altrui: la maggior parte è piuttosto soddisfatta della
propria vita, ma è convinta che tutti gli altri siano infelici».
La
definizione di progresso è spesso collegata all’evoluzione della
tecnologia. Ma questa non basta. Le macchine non sono persone, né i
gadget né le stesse apparecchiature mediche sono sufficienti per un
avanzamento "umano" reale.
Secondo lei, l’uomo è avanzato di pari passo con la tecnologia?
«L’evoluzione
tecnologica contribuisce al progresso quando offre alle persone una
vita più felice, più sana, più ricca. Così le ecografie che salvano i
bambini, vaccini e antibiotici e antisettici che salvano vite, lampadine
che permettono alla gente di leggere, stampanti che gli permettono di
condividere la parola scritta, biciclette che gli permettono di
muoversi, varietà vegetali che evitano le carestie.
Tutte queste
sono forme di progresso, non perché la tecnologia sia sofisticata di per
sé stessa, ma perché permette alla gente di vivere una vita migliore».
Lei scrive che il metodo della ragione non va discusso. Difficile dissentire.
Ma
quale può essere il ruolo della religione? Non è facile convincere a
coltivare le incertezze chi si aggrappa alla fede, che sia la
consolazione intima o il dogma della jihad violenta.
«Va bene che
la religione faccia parte della vita, nel senso di rituali, comunità,
parabole, simbolismo, fin tanto che non conduce a convinzioni sbagliate,
come quella secondo cui con la preghiera curi le malattie, o che Dio
non permetterà il cambiamento climatico. Io non ho una ricetta, un
algoritmo o una formula che possa forzare le persone più testarde della
Terra a cambiare le loro convinzioni, non è questo lo scopo di chi
scrive un libro. Ma ho argomenti per chi i libri li legge: che
l’universo segue le leggi della scienza, non i miracoli. Che la moralità
viene dalla promozione del benessere umano, non dai comandamenti
divini. Che se tu credi in qualcosa come un dogma religioso, non puoi
aspettarti che ci credano tutti.
E che la jihad violenta conduce solo a violenza contro i jihadisti».
Se
la scienza è la risposta, come ci si comporta quando se ne scoprono i
limiti? La religione, per definizione, non ha limiti nella sua capacità
di spiegare il mondo.
«Nessuno dice che la scienza sia la risposta
a tutte le domande: non può rispondere alle domande sulla logica, o
sulla morale, anche se per la morale è rilevante nel dirci che cosa può
migliorare la salute e il benessere. Non credo che la religione non
abbia limiti a spiegare il mondo: i limiti sono evidenti.
Molte
delle asserzioni fattuali nella Bibbia – per esempio l’età della terra –
sono sbagliate, perché basate su un dogma arcaico, non sul tentativo di
spiegare il mondo e verificare le spiegazioni».