Repubblica Robinson 2.12.18
Cartolinedall’inconscio
L’uomo che indagò nel profondo passava tanto tempo a disegnare e dipingere. Perché? Semplice: tutto è nell’immagine
di Vittorio Lingiardi
Era
un artista, Jung? Chi può dirlo? Forse il lettore di questo libro.
Tecnica ne aveva, questo lo si vede. Dipingeva, incideva, scolpiva.
Usava pastelli, grafite, acquarelli e guazzo. Conosceva materiali e
colori, non li usava a caso. E aveva iniziato presto. Fu un sogno
infantile, racconta, il primo contatto col mondo delle immagini. A dieci
anni intaglia un manichino in un righello di legno, lo colora di nero,
lo veste di lana e lo ripone, segreto, nell’astuccio con un ciottolo del
Reno. Sarà il custode dei suoi pensieri, della sua solitudine, della
sua follia. "La psiche è fatta di immagini", scrive Jung. "Ogni
accadimento psichico è un’immagine e un immaginare". Spiega che il
concetto di immagine viene dal linguaggio poetico e non significa
"riproduzione psichica dell’oggetto esterno", bensì " immagine
fantastica", espressione condensata della situazione psichica totale,
solo indirettamente riferibile alla percezione dell’oggetto esterno.
L’immagine appare improvvisamente alla coscienza come "una visione" o
"un’allucinazione", delle quali non possiede però il carattere
patologico. Può essere personale o primordiale (cioè archetipica). Solo
attraverso le immagini e i simboli la coscienza può avere un rapporto
con l’inconscio.
Per tutta la vita Jung ha disegnato: boschi,
serpenti e nuvole; madonne e donne velate; stelle, cartigli e fiori;
croci, sfere e iniziali miniate; figurine stilizzate in tuniche
splendide rosse e oro. Ma soprattutto mandala, simboli antichissimi e
colorati di ogni cultura, espressione della divinità e del Sé: cerchio e
quadrato, totalità. Ne fece uno che chiamò Systema mundi totius.
Disegno e colori sono per Jung esperienze intrinseche alla terapia e
alla scoperta del Sé. " All’inizio ci si serve di una matita o di una
penna per fissare in rapidi schizzi le immagini di sogni, associazioni
libere e fantasie. A partire da un dato momento, però, il paziente si
serve dei colori: esattamente dal momento in cui l’interesse meramente
intellettuale viene sostituito da una partecipazione a coloritura
emotiva". È un passo del suo Mysterium coniunctionis, dove ci offre
indicazioni sull’"immaginazione attiva", tecnica di sua invenzione che
mirava, col metodo dell’"amplificazione", a far emergere nei pazienti i
contenuti psichici nascosti e le immagini interiori dell’inconscio
collettivo. La psicologia junghiana è insomma una psicologia figurativa.
Un
artista, per Jung, solo apparentemente è mosso da obiettivi personali,
forze molto più profonde sono in gioco. L’artista non è libero, è lo
strumento che l’arte usa per trovare una sua forma e creazione. In
questo senso è un uomo elevato e " collettivo" che plasma e veicola la
cultura inconscia della sua comunità e dell’umanità in generale. La
ricerca di Jung è quindi allo stesso tempo un’esplorazione del mondo
interiore, del mundus imaginalis, come direbbe il grande orientalista
Henry Corbin, e dell’inconscio collettivo. Arte è l’incontro col "
numinoso", dove l’Io entra in rapporto trascendente con la realtà e il
divino. Stava lavorando al Libro rosso quando gli apparve in sogno una
figura, Filemone, che si sarebbe rivelata importantissima: un vecchio
alato, con corna taurine: "non riuscendo a capire quest’immagine
onirica, la dipinsi".
Jung morì a ottantasei anni senza aver
pubblicato alcuna opera visiva che portasse la sua firma. E senza essere
riuscito ad apprezzare l’arte contemporanea ( Picasso, per esempio)
senza tirare in ballo simboli e psichismi. Dipingeva i paesaggi che
amava ed era convinto che con loro l’uomo intrattenesse un rapporto
misterioso: "ma ho timore di dire qualcosa in proposito perché non sarei
in grado di suffragarlo razionalmente". I suoi paesaggi, dipinti in
colori espressionisti, dorati e arcani, risentono dell’influenza di
pittori come Sandreuter e Böcklin. Usò le figure del Rosarium
philosophorum per spiegare la relazione terapeutica e le immagini
variopinte dell’alchimia per descrivere il percorso individuativo:
nigredo, albedo, rubedo...
Non so se era un artista, ma so cosa
cercava nelle immagini. Una via per l’inconscio, una via dall’inconscio,
un confronto con l’inconscio, un filo capace di legare la filosofia
orientale e i processi psichici dell’europeo, una tecnica di connessione
con il mondo degli archetipi.
Per Jung, lavorare con le mani
stimolava l’inconscio e curava la psiche. Dopo la morte della moglie
scrive: "mi costò grande sforzo ritrovare l’equilibrio, e il contatto
con la pietra mi fu d’aiuto". In varie fasi della sua vita costruì,
nella sua casa-rifugio sul lago, la Torre di Bollingen, decorandola con
dipinti murali, sculture e bassorilievi. " Dovevo riuscire a dare una
qualche rappresentazione in pietra dei miei più interni pensieri e del
mio sapere". Un giorno si fa lasciare dagli operai un sasso per il quale
aveva provato una forte attrazione. Lo sente " suo" e decide di usarlo
per esprimere il significato profondo della Torre. Era una pietra "
disprezzata", ritenuta inutile dagli operai. La collega al lapis
alchemico, la pietra "amata dai saggi", e la ricopre di iscrizioni,
citazioni di Eraclito, liturgie mitraiche, frammenti omerici.
Scalpellando nella materia prima il suo sogno artistico d’inconscio e il
suo bisogno creativo di terapia. ?