lunedì 3 dicembre 2018

Repubblica Robinson 2.12.18
Cartolinedall’inconscio
L’uomo che indagò nel profondo passava tanto tempo a disegnare e dipingere. Perché? Semplice: tutto è nell’immagine
di Vittorio Lingiardi


Era un artista, Jung? Chi può dirlo? Forse il lettore di questo libro. Tecnica ne aveva, questo lo si vede. Dipingeva, incideva, scolpiva. Usava pastelli, grafite, acquarelli e guazzo. Conosceva materiali e colori, non li usava a caso. E aveva iniziato presto. Fu un sogno infantile, racconta, il primo contatto col mondo delle immagini. A dieci anni intaglia un manichino in un righello di legno, lo colora di nero, lo veste di lana e lo ripone, segreto, nell’astuccio con un ciottolo del Reno. Sarà il custode dei suoi pensieri, della sua solitudine, della sua follia. "La psiche è fatta di immagini", scrive Jung. "Ogni accadimento psichico è un’immagine e un immaginare". Spiega che il concetto di immagine viene dal linguaggio poetico e non significa "riproduzione psichica dell’oggetto esterno", bensì " immagine fantastica", espressione condensata della situazione psichica totale, solo indirettamente riferibile alla percezione dell’oggetto esterno. L’immagine appare improvvisamente alla coscienza come "una visione" o "un’allucinazione", delle quali non possiede però il carattere patologico. Può essere personale o primordiale (cioè archetipica). Solo attraverso le immagini e i simboli la coscienza può avere un rapporto con l’inconscio.
Per tutta la vita Jung ha disegnato: boschi, serpenti e nuvole; madonne e donne velate; stelle, cartigli e fiori; croci, sfere e iniziali miniate; figurine stilizzate in tuniche splendide rosse e oro. Ma soprattutto mandala, simboli antichissimi e colorati di ogni cultura, espressione della divinità e del Sé: cerchio e quadrato, totalità. Ne fece uno che chiamò Systema mundi totius. Disegno e colori sono per Jung esperienze intrinseche alla terapia e alla scoperta del Sé. " All’inizio ci si serve di una matita o di una penna per fissare in rapidi schizzi le immagini di sogni, associazioni libere e fantasie. A partire da un dato momento, però, il paziente si serve dei colori: esattamente dal momento in cui l’interesse meramente intellettuale viene sostituito da una partecipazione a coloritura emotiva". È un passo del suo Mysterium coniunctionis, dove ci offre indicazioni sull’"immaginazione attiva", tecnica di sua invenzione che mirava, col metodo dell’"amplificazione", a far emergere nei pazienti i contenuti psichici nascosti e le immagini interiori dell’inconscio collettivo. La psicologia junghiana è insomma una psicologia figurativa.
Un artista, per Jung, solo apparentemente è mosso da obiettivi personali, forze molto più profonde sono in gioco. L’artista non è libero, è lo strumento che l’arte usa per trovare una sua forma e creazione. In questo senso è un uomo elevato e " collettivo" che plasma e veicola la cultura inconscia della sua comunità e dell’umanità in generale. La ricerca di Jung è quindi allo stesso tempo un’esplorazione del mondo interiore, del mundus imaginalis, come direbbe il grande orientalista Henry Corbin, e dell’inconscio collettivo. Arte è l’incontro col " numinoso", dove l’Io entra in rapporto trascendente con la realtà e il divino. Stava lavorando al Libro rosso quando gli apparve in sogno una figura, Filemone, che si sarebbe rivelata importantissima: un vecchio alato, con corna taurine: "non riuscendo a capire quest’immagine onirica, la dipinsi".
Jung morì a ottantasei anni senza aver pubblicato alcuna opera visiva che portasse la sua firma. E senza essere riuscito ad apprezzare l’arte contemporanea ( Picasso, per esempio) senza tirare in ballo simboli e psichismi. Dipingeva i paesaggi che amava ed era convinto che con loro l’uomo intrattenesse un rapporto misterioso: "ma ho timore di dire qualcosa in proposito perché non sarei in grado di suffragarlo razionalmente". I suoi paesaggi, dipinti in colori espressionisti, dorati e arcani, risentono dell’influenza di pittori come Sandreuter e Böcklin. Usò le figure del Rosarium philosophorum per spiegare la relazione terapeutica e le immagini variopinte dell’alchimia per descrivere il percorso individuativo: nigredo, albedo, rubedo...
Non so se era un artista, ma so cosa cercava nelle immagini. Una via per l’inconscio, una via dall’inconscio, un confronto con l’inconscio, un filo capace di legare la filosofia orientale e i processi psichici dell’europeo, una tecnica di connessione con il mondo degli archetipi.
Per Jung, lavorare con le mani stimolava l’inconscio e curava la psiche. Dopo la morte della moglie scrive: "mi costò grande sforzo ritrovare l’equilibrio, e il contatto con la pietra mi fu d’aiuto". In varie fasi della sua vita costruì, nella sua casa-rifugio sul lago, la Torre di Bollingen, decorandola con dipinti murali, sculture e bassorilievi. " Dovevo riuscire a dare una qualche rappresentazione in pietra dei miei più interni pensieri e del mio sapere". Un giorno si fa lasciare dagli operai un sasso per il quale aveva provato una forte attrazione. Lo sente " suo" e decide di usarlo per esprimere il significato profondo della Torre. Era una pietra " disprezzata", ritenuta inutile dagli operai. La collega al lapis alchemico, la pietra "amata dai saggi", e la ricopre di iscrizioni, citazioni di Eraclito, liturgie mitraiche, frammenti omerici. Scalpellando nella materia prima il suo sogno artistico d’inconscio e il suo bisogno creativo di terapia. ?