Repubblica 6.12.18
Il coraggio della famiglia e i doveri del governo
di Carlo Bonini
Paola
Deffendi e Claudio Regeni, i genitori di Giulio, sono persone abituate a
non dissipare le parole e, soprattutto, a farne uso parsimonioso. Sono
tornati a farlo ieri, affiancati dall’avvocato Alessandra Ballerini con
cui hanno sviluppato un legame che ne fa qualcosa di più di un legale di
parte civile. Ebbene, il regime di Al Sisi, ma prima ancora il Palazzo
della nostra Politica faranno bene a tenere in gran conto il senso e
l’urgenza delle loro parole. Perché entrambi ne vengono messi in mora.
Ai Regeni non sfugge infatti la cesura che ha rappresentato l’iscrizione
al registro degli indagati di cinque ufficiali dei Servizi egiziani.
Perché
di quell’atto comprendono non solo la natura giuridica, ma il
significato sostanziale. Che, di fatto, non carica la Procura di Roma di
nuove responsabilità. Ma, al contrario, scopre e annichilisce l’alibi
dietro cui, sino ad oggi, il Governo di Roma e il Regime del Cairo, si
sono nascosti. Il feticcio di una cooperazione giudiziaria che, da un
anno, è tale solo nella forma. La «speranza di raggiungere la verità»,
la consapevolezza che «un grande passo è stato compiuto», sono dunque la
premessa di un sillogismo che, nel ragionamento dei Regeni, ha come suo
corollario il passaggio forse più importante di questa loro uscita
pubblica. Una voce dal sen fuggita a Paola, a chiosa di quanto la
Ballerini aveva appena finito di dire. «Il nostro Paese — aveva
sottolineato l’avvocato — aveva rimandato in Egitto il nostro
ambasciatore con il compito impossibile di far ripartire una
cooperazione giudiziaria che il Cairo non ha dato. Si prenda atto che il
nostro ambasciatore ha fallito». «Eh no — l’ha interrotta Paola —
diciamo che ha fallito quell’obiettivo. Perché gli altri di obiettivi,
quelli economici, li ha tutti raggiunti» .
Il Governo — Conte,
Salvini, Di Maio, Moavero — è avvertito. Senza toni ultimativi, ma
semplicemente decidendo, come i Regeni fanno, di spendere pubblicamente
il nome di due soli politici che hanno guadagnato la loro fiducia.
Il
senatore Luigi Manconi (ex maggioranza) e il presidente della Camera
Roberto Fico. È sull’intransigenza argomentata di Fico, sulla rottura
dei rapporti diplomatici con il Parlamento egiziano, che la famiglia
infatti scommette e chiama a misurarsi l’abborracciato farfugliare in
ordine sparso dell’Esecutivo. Nella convinzione che solo mosse
diplomatiche energiche (richiamare nuovamente a Roma l’ambasciatore?)
possano ridefinire il rapporto di forza con Al Sisi. E che i Regeni del
fairplay non sappiano più che farsene è del resto nella decisione di
indicare i nomi di 20 ufficiali di intelligence coinvolti. Gli elementi a
loro carico non sono oggi una prova legale sufficiente a una condanna
per sequestro e omicidio. Ma sono abbastanza per concludere che quello
di Giulio è stato un delitto di Stato. E dunque per cominciare a parlare
al Regime con la sola lingua che sembra comprendere e che del resto
pratica. Quella della «paura». «Gli uomini dei Servizi egiziani sappiano
che ora tutti conoscono il loro nome e che se salgono su un aereo
potrebbero non tornare a casa».