giovedì 6 dicembre 2018

Corriere 6.12.18
I familiari di Regeni:
«Altri 15 sospettati»
di Gio. Bia.


ROMA «Devono avere paura, non devono sentirsi sicuri, perché sono coinvolti nel sequestro, nelle torture e nell’omicidio di un cittadino europeo», avverte l’avvocato Alessandra Ballerini, al fianco dei genitori di Giulio Regeni, riuniti nella sede della Federazione nazionale della stampa. Oltre ai cinque militari egiziani indagati dai pm di Roma per il rapimento del ricercatore trovato cadavere al Cairo il 3 febbraio 2016, il legale dice che gli accertamenti svolti attraverso i consulenti della famiglia nel Paese arabo hanno consentito di individuare almeno altre quindici persone — tra cui alcuni alti gradi della National security — che hanno avuto a che fare con la sparizione, i depistaggi e la drammatica fine di Regeni. A cominciare dal colonnello Mahmoud Hendy, il responsabile della sicurezza che mise i documenti di Giulio nella casa dei banditi uccisi e accusati falsamente del suo omicidio. Inoltre, le dichiarazioni che i militari ora inquisiti dalla magistratura italiana hanno rilasciato a suo tempo ai magistrati egiziani, si sono rivelati un maldestro tentativo di autoscagionarsi. «Regeni non rappresentava un pericolo per la sicurezza nazionale, le informazioni ricevute sul suo conto si sono dimostrate infondate, e lui era regolarmente in Egitto per motivi di studio, come tanti altri», avevano affermato il generale Tariq Sabir e il maggiore Magdi Sharif, per allontanare sospetti e indagini dal loro ufficio. Oggi quelle giustificazioni postume servono a svelare che le insinuazioni sul visto turistico di Giulio con cui le autorità locali hanno reagito alla mossa della Procura di Roma sono solo un ulteriore tentativo di inquinamento di fatti e prove. Tra le persone indicate dalla famiglia Regeni ci sono colui che si fece consegnare la fotocopia del passaporto dal coinquilino di Giulio, il medico che ha mentito sugli esiti dell’autopsia, il testimone che cercò di avallare la pista dell’omicidio a sfondo omosessuale. «Ed è molto difficile che il presidente Al Sisi non sapesse nulla di ciò che stava accadendo», accusa l’avvocato Ballerini. «Abbiamo fatto un grande passo avanti, grazie alla nostra Procura, al nostro legale e al nostri consulenti — dice Paola Regeni —, perché nessuno ha ceduto. E non cederemo neanche in futuro, noi siamo fatti così. Lo sappiano in Egitto».