Repubblica 5.12.18
Le battaglie di Spataro
Dagli islamici agli 007 il magistrato instancabile che non fa sconti ai potenti
di Liana Milella
ROMA
Procuratore? Ma il tweet di Salvini lei lo ha visto?». Sta per scoccare
mezzogiorno, e un giornalista invia un messaggio ad Armando Spataro per
dargli la notizia che poi arroventa la sua giornata. Il procuratore di
Torino scopre così, mentre l’operazione di polizia è ancora in corso in
quel preciso momento, che Salvini l’ha annunciata quattro ore prima.
Una
rapida consultazione con i colleghi, una telefonata al procuratore
generale Francesco Saluzzo, nessun dubbio sulla difesa delle regole che,
come gli dirà nel pomeriggio il suo ex capo Edmondo Bruti Liberati,
«non sono mai state violate da nessun ministro dell’Interno in modo così
clamoroso, neppure da Maroni o da Alfano». Non bastasse la gaffe delle
7.22, Salvini — che rischia il processo per vilipendio della
magistratura proprio per mano di Spataro — maltratta il magistrato.
Ironizzando,
Bruti dice a Spataro: «Hai visto? C’è stato un downgrade negli insulti
contro la magistratura, prima arrivavano dal presidente del Consiglio,
ora dal ministro dell’Interno...».
Da quel momento Spataro incassa decine di messaggi di solidarietà.
Non parla. «Mi chiama per un’intervista? No, grazie. Devo lavorare». «Ma come pure oggi?».
«Sì,
certo, sempre» dice a chi insiste. Si limita a ricordare un episodio:
«Quando venne arrestato Mario Moretti nell’81 ricevetti una telefonata
dell’allora ministro dell’Interno Virginio Rognoni che mi chiese di
fargli sapere quando avrebbe potuto dare una notizia così importante per
il Paese, perché in ogni caso prima venivano le esigenze dell’autorità
giudiziaria». Un ricordo. Senza ulteriori commenti. Giungono le
telefonate, quella di David Ermini, il vice presidente del Csm, che lo
ha difeso. I colleghi di Area, la corrente di sinistra delle toghe,
vogliono che se ne discuta in Consiglio. L’sms del collega Giancarlo De
Cataldo. Quello di Gianni Canzio, l’ex presidente della Cassazione. Sono
tutti contro Salvini.
La telefonata più lunga è quella con Bruti
che non nasconde la sorpresa: «Non è mai accaduto che un ministro
dell’Interno annunciasse gli arresti. Ne ho un’esperienza diretta come
ex procuratore di Milano. Vi sono prassi pacifiche con le forze di
polizia con cui si concorda tutto, non solo i tempi dell’annuncio, ma
anche le virgole da mettere nei comunicati. E tutto avviene sotto la
direzione del pm. E poi l’uso di quell’espressione "15 nigeriani"... mai
scritto presi 15 calabresi».
Brucia ai colleghi l’irridente
riferimento alla pensione. Già, perché Spataro in pensione ci va
davvero. Ultimo giorno di lavoro venerdì 14 dicembre. Settant’anni, una
vita spesa per la magistratura, ma anche per battaglie in cui ha creduto
profondamente, come quella contro la riforma costituzionale di Renzi,
che lo ha visto protagonista di decine di dibattiti e di battute sul
"no". Ma ora quell’insistere «sul futuro serenissimo da pensionato»
suona offensivo.
Ma forse Salvini ha un "conto" aperto col Spataro
che un mese fa ha chiuso le indagini per vilipendio contro il capo
della Lega che aveva definito le toghe «una schifezza». Ma il ministro
si è ben guardato dall’annunciare che sulla sua scrivania è giunta da
Torino la busta gialla. Eppure quest’indagine nata nel 2016, per cui
Spataro con cocciutaggine ha chiesto il via libera tre volte ai ministri
della Giustizia (alla fine dato da Bonafede), è forse la chiave per
capire l’acredine di Salvini. Eccolo a luglio quando bacchetta il
procuratore. Lui dice che «nessuno può vietare l’attracco dei barconi»,
Salvini replica che «bloccare i porti è un dovere e se qualcuno la pensa
diversamente può candidarsi».
Ma la procura di Torino potenzia le
indagini sui reati «insopportabili e odiosi» contro gli immigrati e
comincia a usarli nelle cancellerie.
Ma, come si chiede Bruti,
Salvini sa chi è Spataro? Un procuratore che due giorni dopo il dolore
più grande della sua vita — la morte a 36 anni del figlio Andrea che
aveva scelto di fare l’avvocato penalista — era già al lavoro in
procura. Un pm, ricorda Bruti, che «non ha temuto né i terroristi rossi,
né quelli islamici, né la mafia, né gli 007 deviati». E neppure i
superagenti della Cia.
Eccolo pm a Milano accanto al giudice
istruttore Guido Galli, poi ucciso, indagare su Curcio e Prima Linea.
Eccolo in via Dogali, nel covo delle Br. E poi, da pm antimafia,
indagare sulla ‘ndrangheta ormai padrona del traffico di droga. Duemila
arresti, duemila condanne e 70 ergastoli.
Dopo la parentisi al Csm
con il Movimento per la Giustizia fondato con Giovanni Falcone, si apre
la stagione delle indagini sul terrorismo islamico, «più condanne a
Milano che nel resto d’Europa» come ricorda spesso, e di certo
l’inchiesta più famosa, quella sul sequestro di Abu Omar, con la
soddisfazione di vedere la Corte dei diritti umani di Strasburgo dalla
sua parte nel condannare i governi attestati sul segreto di Stato e le
grazie concesse agli agenti della Cia da Napolitano e Mattarella. Come
dice Vito D’Ambrosio, un collega in pensione del Movimento giustizia,
«quando Salvini avrà lavorato un quarto di Spataro allora potrà
misurarsi con lui». Un toga al servizio dello Stato, che per lo Stato ha
rischiato la vita, e che nessuno, tantomeno un ministro dell’Interno,
può dileggiare.