Corriere 5.12.18
La confusione istituzionale di Salvini
il corto circuito del leader leghista
I toni da bar e le istituzioni
di Pierluigi Battista
Ora
Matteo Salvini, che è ministro dell’Interno, la cui missione dovrebbe
essere la tutela della sicurezza pubblica, invita bruscamente e
inurbanamente il magistrato Armando Spataro a ritirarsi in pensione.
Reazione
sproporzionata, oltre che maleducata, a una considerazione critica del
Procuratore capo di Torino su un precedente e intempestivo tweet di
Salvini su un’operazione di polizia contro la mafia nigeriana, con il
rischio di mandare per aria tutta l’indagine. Un’istituzione dello Stato
e del governo gioca pesantemente contro un altro uomo delle
istituzioni. Ma è solo l’ultimo caso. Poche ore prima Salvini, capo
della Lega e ministro dell’Interno riuniti in un’unica figura, aveva
sbrigativamente liquidato come un molesto boicottatore il presidente di
Confindustria. Confindustria non è un’istituzione e una critica alla sua
linea e ai suoi metodi è legittima e democraticamente necessaria,
figurarsi. Ma che senso ha una risposta come «andate a lavorare» come se
la critica al governo, anch’essa legittima e democraticamente
necessaria, fosse un'inammissibile perdita di tempo? Prima ancora
Salvini aveva rinfacciato al leader della Commissione europea una sua
presunta inclinazione al consumo alcolico. E poi aveva preso in giro la
Commissione europea, esortandola a scrivere una «letterina di Natale». E
ancora prima aveva detto al presidente della Camera Fico, peraltro
membro di un partito coalizzato al governo con la Lega, di farsi un po’
gli affari suoi, come se una legge uscita dal Parlamento non fosse anche
un po’ affare del suo presidente. Prima aveva bersagliato il presidente
dell’Inps, invitandolo a levare il disturbo anzitempo e presentarsi
alle elezioni con il Pd. Prima aveva deriso i magistrati palermitani che
gli avevano spedito un avviso di garanzia per la nave Diciotti,
sbertucciandoli pubblicamente e dicendo loro che, non essendo eletti,
non avrebbero avuto titolo a indagare un politico eletto. Fatti diversi,
con interlocutori e bersagli diversi. La magistratura, un’istituzione
dello Stato, non è un associazione di categoria, un gruppo di interesse,
per esempio. E il presidente dell’Inps ha un profilo politico molto
marcato, che ovviamente può essere discusso anche polemicamente. Ma
tutti questi fatti, queste dichiarazioni tonitruanti, queste battute
beffarde da bar che sostituiscono lo sforzo dell’argomentazione, hanno
in comune un’insofferenza assoluta e incondizionata per ogni genere di
critica. Un crescendo di derisione, di liquidazione brutale, di
demolizione aggressiva dell’interlocutore che appare sempre più
incompatibile con i modi e gli atteggiamenti che un rappresentante del
governo è tenuto ad osservare, qualunque sia il colore e la linea
politica di quel governo. Il problema non è solo stilistico, o estetico,
qualcosa che riguarda soltanto il lessico o la posa di un politico e
nemmeno lo strumento, Twitter e Facebook, che Salvini usa con perizia
collaudata, peraltro. Il problema è che Matteo Salvini non solo non sa
distinguere il suo ruolo di capo della Lega e di ministro dell’Interno,
ma soprattutto usa la sua tribuna di ministro dell’Interno per dare
massimo risalto alla sua figura di capo della Lega. Qui è il corto
circuito, che non è solo questione di «toni» e di buona creanza (che
pure non andrebbe calpestata con tanta voluttà da curva dello stadio),
ma è una confusione istituzionale che avvelena il dibattito politico e
svilisce il ruolo di governo. Come capo della Lega Salvini rappresenta
una parte degli italiani, di italiani che ne condividono la linea e che
nutrono per lui consenso, ammirazione e anche amore, ma come ministro
dell’Interno rappresenta tutti gli italiani, anche quelli che non lo
hanno votato e che, legittimamente e in forme ovviamente civili e non
violente, lo detestano sul piano politico. Come capo della Lega Salvini
può entrare in conflitto con chiunque, ma come membro del governo di
tutta l’Italia non può, pena il caos istituzionale, entrare in conflitto
aspro e senza esclusione di colpi con tutte le istituzioni, nazionali
ed europee. Come capo della Lega può scontrarsi con chiunque, è la
democrazia. Ma come ministro dell’Interno e addirittura come aspirante
al titolo di premier alle prossime elezioni, il suo dovere è di non
consumarsi e anche incarognirsi in uno scontro permanente e distruttivo
con chiunque gli si pari davanti, nel mondo delle istituzioni
soprattutto. Una sovrapposizione pericolosa. Il ministro dell’Interno è
obbligato a tenerne conto, anche a costo di qualche sacrificio sul
terreno della propaganda.