Repubblica 4.12.18
Il fondatore di Vox e il boom in Andalusia
Abascal, il leader machista della Spagna lancia l’ultradestra “senza complessi”
I 12 seggi conquistati nella regione aprono la strada a un patto con il Pp e Ciudadanos
Il suo partito vuole migranti deportati e moschee chiuse
di Alessandro Oppes
In
uno spot passato quasi inosservato di una campagna elettorale costata
appena 150mila euro si vede Santiago Abascal, in sella a un cavallo, che
annuncia fiducioso: «La nostra reconquista parte dall’Andalusia». Alla
cintura la sua immancabile Smith&Wesson («prima per proteggere mio
padre, ora mio figlio»), il leader dell’ultradestra di Vox si propone di
rilanciare l’opera portata a compimento nel 1492 dai Re Cattolici con
l’espulsione dei musulmani dalle terre di al-Andalus. Nel suo programma
c’è la chiusura delle frontiere, la costruzione di muri a Ceuta e
Melilla (ci sono già, ma evidentemente li vuole più alti e più sicuri),
la deportazione dei migranti irregolari e anche di quelli che risiedono
legalmente in territorio spagnolo, se hanno commesso reati gravi. E
vuole pure la chiusura di tutte le moschee finanziate dal
fondamentalismo. Ma quello dell’immigrazione è solo uno dei punti del
piano d’azione xenofobo, razzista e anti-islamico di un movimento nato
per sdoganare vecchi slogan franchisti come “Dio, Patria e famiglia” o
con il progetto di ricostruire “una Spagna grande e unita”. Per il
momento, il suo primo grande successo l’ha ottenuto con l’exploit in
parte inatteso alle regionali andaluse, che grazie alla conquista di 12
seggi fa diventare Vox l’elemento cardine di una maggioranza di destra
insieme al Pp e Ciudadanos. Un inedito assoluto visto che, con il loro
tracollo (sono passati da 47 a 33 seggi) i socialisti di Susana Díaz
sono sospinti all’opposizione dopo 36 anni di governo della Regione.
Il
carburante per alimentare la crescita di Vox è venuto dalla sfida
indipendentista catalana, che ha consentito al partito di fare le prove
generali portando in piazza un mare di bandiere rojigualdas, simbolo
della nazione spagnola. Prima del trauma del referendum di un anno fa,
la piccola formazione nata da un litigio interno al Partito Popolare
(Abascal, dirigente regionale basco, se ne andò sbattendo la porta dopo
20 anni di militanza perché era stato emarginato) poteva contare su ben
magre performance: dallo 0,45% delle europee del 2014 – anno di nascita
della formazione – allo 0,2 delle politiche di giugno 2016. In
quell’occasione, i media si occuparono di Abascal solo il giorno in cui
venne arrestato a Gibilterra per aver manifestato sventolando una
bandiera spagnola.
Chi aveva letto il suo libro “Non mi arrendo”
sapeva però che, nonostante le sconfitte umilianti, l’intraprendente
politico basco avrebbe atteso paziente il momento propizio per
vendicarsi della derechita cobarde, la “viltà” dei suoi ex compagni di
cordata del Pp, a suo dire incapaci di applicare una politica
conservatrice «senza complessi». La destra autentica, e anche
nostalgica, Santiago Abascal – oggi 42enne l’ha conosciuta da vicino sin
da piccolo. Nonno sindaco franchista ad Amurrio, provincia di Álava,
padre dirigente nel Paese Basco di Alianza Popular, la formazione creata
in piena Transizione da Manuel Fraga, ex ministro della dittatura, che
poi passò a chiamarsi Partido Popular. La tessera del Pp, così, Abascal
se la ritrovò in tasca in modo quasi automatico, iscritto “d’ufficio”
dal padre al compimento dei 18 anni d’età. E le cose andarono
relativamente bene finché al timone della formazione c’era un “vero”
conservatore come José María Aznar, mentre a Madrid comandava Esperanza
Aguirre, la “lady di ferro” spagnola, che lo prese sotto la sua ala
protettrice, assegnandogli dubbie prebende con la nomina alla guida di
una fondazione senza dipendenti e senza attività ma con una sovvenzione
di 183mila euro.
Il giorno in cui, incompreso, decise di lasciare il
partito (era il novembre del 2013) rinfacciò in una dura lettera a Rajoy
di aver «tradito le idee e i valori» del Pp.
Idee che ha poi
rielaborato in chiave patriottica, ultracattolica e machista per dare
corpo al programma di Vox: si oppone all’aborto, alla legge sulla
memoria storica e a quella sulla violenza di genere. Tralascia solo il
tema del divorzio, perché lui stesso ha divorziato dalla prima moglie.
Progetti che, con la crisi catalana ancora rovente e di fronte alla
prospettiva dell’esumazione dei resti di Franco dal Valle de los Caídos,
hanno mandato in visibilio due mesi fa i 10mila sostenitori accorsi al
suo primo bagno di folla. Non a caso, organizzato nel palazzo di
Vistalegre a Madrid, da sempre terreno inviolato della sinistra. Così è
partita la sfida. Abascal la affronta con fiducia, ancor più da quando
ha visto il suo figlioletto, durante una manifestazione a favore dei
terroristi dell’Eta incarcerati, urlare: “Viva España!”. Senza
complessi.